Ricorso Patteggiamento: La Cassazione chiarisce i limiti invalicabili
Il ricorso patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale di grande interesse, dove l’esigenza di deflazione del contenzioso si scontra con il diritto di difesa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato i confini rigidi entro cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Questo provvedimento offre spunti cruciali per comprendere come la riforma del 2017 abbia significativamente limitato le possibilità di appello, rendendo la scelta del patteggiamento una decisione quasi definitiva. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni pratiche.
I fatti del caso
Un imputato, a seguito di un accordo con la Procura, otteneva dal Giudice dell’Udienza Preliminare (G.U.P.) una sentenza di patteggiamento. La pena concordata, pari a otto mesi di reclusione e 2.000 euro di multa, veniva posta in continuazione con una precedente condanna, sempre per reati legati agli stupefacenti. Insoddisfatto della pronuncia, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per Cassazione. I motivi addotti erano di natura generale: omessa motivazione, violazione di legge, travisamento dei fatti, illogicità e erronea applicazione della legge.
La decisione della Corte di Cassazione e il ricorso patteggiamento
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure entrare nel merito delle doglianze. La decisione si fonda su un’applicazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla legge n. 103 del 2017 (nota come Riforma Orlando), ha drasticamente ridotto i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.
La Corte ha stabilito che i motivi generici sollevati dal ricorrente non rientravano in nessuna delle categorie specifiche previste dalla legge. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto “senza formalità”, come previsto per i casi di manifesta inammissibilità. Oltre alla declaratoria di inammissibilità, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni
Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha spiegato che, dopo la riforma del 2017, il ricorso patteggiamento non è più un rimedio ad ampio spettro. Il legislatore ha voluto rendere più stabili le sentenze di patteggiamento, limitando l’accesso alla Cassazione solo a casi eccezionali e ben definiti. Questi motivi tassativi sono:
1. Mancata espressione del consenso dell’imputato: Se la volontà di patteggiare non è stata validamente espressa.
2. Difetto di correlazione tra richiesta e sentenza: Se il giudice ha emesso una sentenza che non corrisponde all’accordo tra le parti.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: Se il reato è stato classificato in modo errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Se la sanzione applicata è contraria alla legge (ad esempio, superiore al massimo edittale).
Poiché i motivi del ricorrente erano generici e non rientravano in questo elenco chiuso, la Corte non ha avuto altra scelta che dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione. La censura relativa a “omessa motivazione” o “illogicità” non è più un motivo valido per contestare una sentenza di patteggiamento.
Le conclusioni
Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La scelta di accedere al patteggiamento deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché le possibilità di rimetterla in discussione in seguito sono estremamente ridotte. La sentenza cristallizza l’idea che il patteggiamento è un accordo che, una volta ratificato dal giudice, acquisisce una stabilità quasi assoluta. Per i difensori e gli imputati, ciò significa che ogni valutazione sulla correttezza dell’accordo, sulla qualificazione del fatto e sulla congruità della pena deve essere fatta prima della richiesta al giudice, poiché gli spazi per un ripensamento successivo sono quasi inesistenti. La condanna al pagamento di una somma significativa alla Cassa delle ammende funge inoltre da deterrente contro la proposizione di ricorsi palesemente infondati.
È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’ordinanza chiarisce che il ricorso è ammesso solo per i motivi specifici e tassativamente indicati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per un ricorso patteggiamento?
I motivi validi sono: problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare, la non corrispondenza tra quanto richiesto e quanto deciso nella sentenza, un’errata qualificazione giuridica del fatto, oppure l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se il ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, come avvenuto nel caso di specie, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31607 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31607 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CATANIA il 09/05/1987
avverso la sentenza del 12/03/2025 del GIUDICE COGNOME di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 12 marzo 2025 il G.U.P. del Tribunale di Catania ha applicato a Platania Rosario, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di mesi otto di reclusione ed euro 2.000,00 di multa da porsi in aumento, per la continuazione, rispetto a quella già inflittagli con precedente sentenza di applicazione della pena riguardante reati in materia di sostanze stupefacenti.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo contestualmente, con un unico motivo, omessa motivazione, violazione di legge, travisamento, illogicità ed erronea applicazione di legge.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito, considerato che la dedotta censura non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ex art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’8 luglio 2025
Il Consigliere estensore
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