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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento. L’impugnazione era basata su un presunto vizio di motivazione relativo alla recidiva, un motivo non previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., che elenca tassativamente i casi in cui è ammesso il ricorso patteggiamento. La Corte ha ribadito che questioni come la valutazione della recidiva, se incluse nell’accordo tra le parti, non possono essere oggetto di ricorso in Cassazione.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: la Cassazione Fissa i Paletti sull’Impugnazione

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più battute per la definizione accelerata dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito speciale comporta significative limitazioni sul fronte delle impugnazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a ribadire i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi possono essere portati all’attenzione del giudice di legittimità e quali, invece, conducono a un’inevitabile declaratoria di inammissibilità. Il caso in esame offre uno spunto prezioso per comprendere la logica dietro queste limitazioni.

I Fatti di Causa

Un imputato, a seguito di una sentenza di patteggiamento emessa dal G.i.p. del Tribunale di Tivoli, decideva di presentare ricorso per Cassazione tramite il proprio difensore. L’unico motivo di doglianza sollevato riguardava un presunto ‘vizio di motivazione’ in relazione al riconoscimento della recidiva. Secondo la difesa, il giudice di primo grado non aveva adeguatamente giustificato le ragioni per cui aveva applicato tale aggravante.

La Decisione della Corte sul Ricorso Patteggiamento

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere le pretese del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una rigorosa applicazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, norma che funge da vero e proprio sbarramento per la maggior parte delle contestazioni avverso le sentenze di patteggiamento. La Corte ha sottolineato che l’accordo tra accusa e difesa, che costituisce il cuore del patteggiamento, cristallizza non solo la qualificazione del fatto e la pena, ma anche la valutazione di circostanze come, appunto, la recidiva.

Le Motivazioni

Il fulcro della motivazione risiede nella natura stessa del patteggiamento. Accettando questo rito, l’imputato rinuncia a contestare nel merito le accuse e accetta una determinata pena in cambio di uno sconto. Di conseguenza, il legislatore ha limitato drasticamente le possibilità di rimettere in discussione tale accordo in sede di legittimità.

L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. elenca tassativamente i soli motivi per cui è possibile presentare ricorso avverso una sentenza di patteggiamento:

1. Espressione della volontà dell’imputato: vizi del consenso, come errore o violenza.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: quando il giudice si pronuncia su fatti diversi o applica una pena non concordata.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato contestato è palesemente errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: qualora la sanzione applicata sia contraria alla legge.

Nel caso di specie, il ricorrente lamentava un vizio di motivazione, un motivo non incluso in questo elenco. La Corte ha chiarito che il riconoscimento della recidiva e la sua comparazione con le attenuanti erano stati oggetto dell’accordo tra le parti. Pertanto, lamentare una carenza di motivazione su un punto concordato è una censura inammissibile. Non si è ravvisato alcun vizio nella volontà dell’imputato, né un difetto di correlazione o un’illegalità della pena.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La lezione pratica è chiara: la scelta di questo rito deve essere ponderata attentamente, con la consapevolezza che le possibilità di rimettere in discussione l’accordo in Cassazione sono estremamente circoscritte. Tentare di aggirare i limiti imposti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. sollevando questioni di merito o di motivazione su punti coperti dall’accordo, non solo è destinato al fallimento, ma comporta anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso in esame.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, non è possibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce che il ricorso è ammesso solo per motivi specifici, quali problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena.

La motivazione sulla recidiva può essere contestata in Cassazione dopo un patteggiamento?
No. Secondo la Corte, se il riconoscimento della recidiva e la sua valutazione sono stati oggetto dell’accordo tra le parti (il patteggiamento), non è possibile contestare in Cassazione un presunto vizio di motivazione su tale punto, poiché non rientra tra i motivi di ricorso consentiti dalla legge.

Cosa succede se si propone un ricorso per motivi non ammessi contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisano profili di colpa, anche al pagamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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