Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Chiarisce i Limiti di Impugnazione
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui limiti dell’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di patteggiamento. La decisione ribadisce la natura tassativa dei motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, escludendo censure generiche come il vizio di motivazione. Questo principio, introdotto dalla riforma legislativa del 2017, mira a definire con precisione i confini di un istituto processuale fondamentale, bilanciando le esigenze di celerità con la tutela dei diritti.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due individui contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (comunemente nota come patteggiamento) emessa dal Tribunale di Milano. Gli imputati avevano basato il loro appello alla Suprema Corte su un unico motivo: il presunto vizio di motivazione della sentenza impugnata. Sostanzialmente, lamentavano che le ragioni a sostegno della decisione del giudice di primo grado fossero carenti o illogiche.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili. I giudici di legittimità hanno richiamato la disciplina specifica che regola l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, sottolineando come questa sia soggetta a limiti ben precisi. La conseguenza di tale dichiarazione è stata la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Le Motivazioni: I Limiti Specifici al Ricorso Patteggiamento
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla legge n. 103 del 2017, stabilisce che il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso per Cassazione contro una sentenza di patteggiamento esclusivamente per i seguenti motivi:
1. Vizi della volontà: Quando il consenso dell’imputato al patteggiamento non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione: Se c’è una discrepanza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice nella sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: Nel caso in cui il reato sia stato classificato in modo giuridicamente errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Qualora la sanzione applicata sia contraria alla legge per tipo o quantità.
La Corte ha osservato che i ricorrenti non avevano sollevato nessuna di queste specifiche questioni. Il loro appello, fondato su un generico vizio di motivazione, non rientrava in nessuna delle categorie ammesse dalla legge. Pertanto, il ricorso non poteva superare il vaglio preliminare di ammissibilità.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato: il patteggiamento è un accordo processuale che, una volta ratificato dal giudice, gode di una stabilità rafforzata. La possibilità di impugnarlo è un’eccezione, limitata a vizi gravi e specificamente individuati dal legislatore. La scelta di contestare una sentenza di patteggiamento per un vizio di motivazione generico si rivela una strategia processuale inefficace e controproducente, poiché porta a una sicura dichiarazione di inammissibilità e a ulteriori oneri economici per l’imputato. Questa decisione serve da monito per la difesa: l’analisi dei presupposti per un ricorso patteggiamento deve essere rigorosa e strettamente aderente al dettato normativo.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per motivi specificamente e tassativamente previsti dalla legge, come chiarito dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per un ricorso patteggiamento in Cassazione?
I motivi ammessi sono quattro: problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Un ‘vizio di motivazione’ generico è un motivo valido per impugnare una sentenza di patteggiamento?
No. Secondo la Corte, un generico vizio di motivazione non rientra tra i motivi tassativamente indicati dalla legge. Di conseguenza, un ricorso basato unicamente su tale censura è destinato a essere dichiarato inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12585 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12585 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOMECUI CODICE_FISCALE) nato il 01/01/1997 NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 03/02/1999
avverso la sentenza del 28/06/2024 del TRIBUNALE di MILANO
(dato avviso alle parti)
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Con l’unico motivo proposto si deduce nell’interesse di NOME COGNOME cui 05/30bn7 e di NOME COGNOME cui 05ILf31 il vizio di motivazione.
Rilevato che il ricorso avverso sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile ove in contrasto con quanto previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, per cui il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per Cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza;
considerato che, nel caso in esame, i ricorrenti non hanno allegato la mancanza di volontà dell’imputato o altri vizi ammissibili per legge;
tenuto conto che, pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 20.12.2024.