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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento, poiché la motivazione addotta, ossia l’omessa valutazione delle condizioni per un proscioglimento immediato ex art. 129 c.p.p., non rientra tra i motivi tassativamente previsti dalla legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.). Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando l’Impugnazione è Inammissibile

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione accelerata dei procedimenti penali. Tuttavia, è fondamentale comprendere che l’accordo sulla pena comporta una significativa limitazione del diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con chiarezza i confini entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, dichiarandolo inammissibile se fondato su motivi non espressamente previsti dalla legge.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal GIP del Tribunale di Genova. Il ricorrente lamentava, in sostanza, che il giudice di merito non avesse considerato la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento immediato ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale. Secondo la difesa, infatti, sussistevano le condizioni per un’assoluzione che il giudice avrebbe dovuto rilevare d’ufficio, anche in presenza di un accordo sulla pena.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Ricorso Patteggiamento

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile con una sintetica ma inequivocabile ordinanza. La Corte ha basato la sua decisione su un principio consolidato, richiamando l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. La questione sollevata dal ricorrente, relativa alla mancata valutazione di una possibile causa di proscioglimento, non rientra in tale elenco.

Di conseguenza, la Corte non è entrata nel merito della doglianza, ma si è fermata a una valutazione preliminare di ammissibilità. L’esito è stato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte Suprema sono radicate nella lettera della legge e in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. L’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. è stato introdotto per deflazionare il carico giudiziario e per dare stabilità alle sentenze emesse a seguito di un accordo tra le parti. Permettere un’impugnazione per motivi non espressamente previsti significherebbe vanificare la natura stessa del patteggiamento, che è un rito premiale basato sulla rinuncia delle parti a contestare l’accusa in cambio di uno sconto di pena.

La Corte ha ritenuto che il motivo del ricorso, ovvero l’omessa valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., non rientrasse tra le ipotesi consentite. La scelta del legislatore è chiara: una volta raggiunto l’accordo, il controllo del giudice è limitato alla correttezza della qualificazione giuridica del fatto e alla congruità della pena, ma non si estende a una nuova e completa valutazione del merito della vicenda che possa portare a un proscioglimento, a meno che non emerga in modo evidente una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., cosa che in questo caso non è stata ritenuta applicabile come motivo di ricorso.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale per chi opera nel diritto penale: la scelta del patteggiamento deve essere ponderata attentamente, tenendo conto delle rigide limitazioni al diritto di impugnazione. Non è possibile utilizzare il ricorso per Cassazione come un terzo grado di giudizio nel merito per rimettere in discussione elementi già accettati con l’accordo. La dichiarazione di inammissibilità comporta, come in questo caso, conseguenze economiche rilevanti per il ricorrente. Pertanto, prima di intraprendere la via del ricorso avverso una sentenza di patteggiamento, è indispensabile verificare scrupolosamente che i motivi rientrino nel novero di quelli tassativamente indicati dalla legge, per evitare una pronuncia sfavorevole e ulteriori oneri.

È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice avrebbe dovuto assolvermi?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che questa specifica motivazione non rientra tra i casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, per cui il ricorso è inammissibile.

Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.

Qual è la base giuridica per dichiarare inammissibile un ricorso di questo tipo?
La base giuridica è l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che elenca tassativamente i motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento. La mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. non è inclusa in questo elenco.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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