Ricorso Patteggiamento: Quando la Cassazione lo Dichiara Inammissibile
Il ricorso patteggiamento rappresenta un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale penale, ma le sue vie di impugnazione sono strette e ben definite. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (n. 33524 del 2024) ribadisce con chiarezza i confini entro cui è possibile contestare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. L’analisi di questa decisione offre spunti cruciali per comprendere la differenza tra un errore manifesto, che può essere censurato, e un mero errore valutativo, che invece non trova spazio in sede di legittimità.
I Fatti del Caso e la Sentenza Impugnata
Il caso nasce dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa da un Tribunale nel gennaio 2024. L’imputato, tramite il suo difensore, ha deciso di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio specifico: l’erronea qualificazione giuridica del fatto contestato. In sostanza, la difesa sosteneva che il reato per cui si era accordata la pena fosse stato inquadrato in modo giuridicamente sbagliato dal giudice di primo grado.
La Normativa sul Ricorso Patteggiamento
La Corte ha innanzitutto richiamato il quadro normativo di riferimento, ovvero l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la legge n. 103 del 2017, stabilisce in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono limitati a:
1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Mancata correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza emessa.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
È su questo terzo punto che si è concentrata l’attenzione della Corte.
La Decisione della Corte: Errore Manifesto vs Errore Valutativo
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo il motivo dedotto del tutto generico. Il punto centrale della decisione risiede nella distinzione tra “errore manifesto” ed “errore valutativo”. La giurisprudenza consolidata, citata anche nell’ordinanza, chiarisce che l’erronea qualificazione del fatto, per poter essere un valido motivo di ricorso patteggiamento, deve essere un errore palese, evidente dalla semplice lettura del provvedimento impugnato. Non è invece ammissibile un ricorso che si limiti a proporre una diversa interpretazione giuridica o a denunciare errori di valutazione che non siano immediatamente percepibili.
Le Motivazioni
La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che, nel caso di specie, non emergeva alcun errore manifesto. Al contrario, il ricorso si basava su una critica generica all’operato del giudice di merito. Inoltre, i giudici di legittimità hanno ricordato che, nel contesto del patteggiamento, la motivazione della sentenza può essere molto sintetica. L’accordo tra le parti, infatti, esonera l’accusa dall’onere della prova e richiede al giudice una verifica sulla correttezza della qualificazione giuridica, sulla congruità della pena e sull’assenza di cause di proscioglimento immediato (ex art. 129 c.p.p.). Una succinta descrizione del fatto e l’affermazione della corretta qualificazione giuridica sono sufficienti a motivare la sentenza. Poiché il giudice di primo grado si era, seppur concisamente, pronunciato su questo punto, il ricorso è stato giudicato infondato e inammissibile.
Le Conclusioni
La conseguenza dell’inammissibilità è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza conferma un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo che limita le possibilità di impugnazione. Chi sceglie questa via processuale accetta un perimetro di contestazione molto ristretto, confinato a vizi gravi e palesi, escludendo la possibilità di rimettere in discussione l’intera valutazione giuridica del fatto, a meno che non si configuri un errore di macroscopica evidenza.
Quali sono i motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., i motivi sono limitati all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
È sufficiente non essere d’accordo con la qualificazione giuridica per fare ricorso?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il ricorso per erronea qualificazione giuridica è ammissibile solo in caso di errore manifesto, cioè un errore palese ed evidente dal testo della sentenza, non per semplici errori valutativi o interpretativi.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento della Corte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33524 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33524 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NATALE nato a OPPIDO MAMERTINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/01/2024 del TRIBUNALE di BOLOGNA
arti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto da NOME COGNOME a mezzo del difensore.
Considerato che, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento risulta proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
Considerato che, nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che, come nel presente caso, non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (così Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018 Rv. 272619 – 01).
Ritenuto che il motivo dedotto è del tutto generico e che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il giudice si è pronunciato sulla corretta qualificazione giuridica del fatto, sia pure in modo conciso come ammette la giurisprudenza di legittimità .
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa del ricorrente (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 29 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il
Pregidehte