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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per usura e tentata estorsione. L’imputato lamentava la mancata esclusione della recidiva, ma la Corte ha stabilito che tale motivo non rientra tra le cause tassative previste dalla legge per impugnare un accordo di pena. Questo caso ribadisce i rigidi limiti del ricorso patteggiamento, confermando che la contestazione su una circostanza aggravante non costituisce motivo di ‘illegalità della pena’ ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: La Cassazione e i Motivi di Inammissibilità

Il ricorso contro una sentenza di patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale dai confini ben definiti. Con l’ordinanza n. 29991 del 2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire la natura eccezionale di questa impugnazione, chiarendo quali motivi possano essere validamente presentati e quali, invece, conducano a una declaratoria di inammissibilità. Il caso in esame, relativo a reati di usura e tentata estorsione, offre uno spunto fondamentale per comprendere i limiti imposti dal legislatore.

I Fatti del Caso: Un Appello contro la Pena Concordata

Un soggetto, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, otteneva dal Giudice per le indagini preliminari una sentenza di applicazione della pena (il cosiddetto patteggiamento) per i reati di usura e tentata estorsione. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio specifico nella determinazione della pena.

I Motivi del Ricorso Patteggiamento e la Questione della Recidiva

Il fulcro del ricorso patteggiamento verteva su un’unica doglianza: l’illegalità della pena a causa dell’applicazione della recidiva. Secondo la difesa, tale circostanza aggravante avrebbe dovuto essere esclusa ai sensi dell’art. 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale. L’imputato, quindi, non contestava l’accordo in sé, ma un presunto errore del giudice nel calcolo della pena finale per non aver disapplicato un’aggravante.

La Decisione della Corte di Cassazione: Inammissibilità del Ricorso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno richiamato il tenore dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, una norma che elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento. Questi motivi sono:

1. Difetto nell’espressione della volontà dell’imputato.
2. Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Il motivo sollevato dall’imputato, relativo alla mancata esclusione di una circostanza aggravante, non rientra in nessuna di queste categorie.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha spiegato in modo chiaro che la contestazione sulla gestione delle circostanze aggravanti (in questo caso, la recidiva) non si traduce in un'”illegalità della pena”. Una pena è illegale quando non è prevista dall’ordinamento giuridico per quel tipo di reato o quando la sua quantificazione esce dai limiti edittali fissati dalla legge.

Nel caso specifico, la mancata esclusione della recidiva non ha reso la pena illegale, in quanto l’istituto del patteggiamento era comunque applicabile. Inoltre, i giudici hanno sottolineato che tale aggravante non avrebbe potuto prevalere sulle eventuali attenuanti, per via del divieto posto dall’art. 69, comma 4, c.p.p. Di conseguenza, il motivo del ricorso è stato ritenuto non consentito dalla legge e, pertanto, inammissibile.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: l’accesso al ricorso patteggiamento è strettamente limitato ai vizi procedurali e sostanziali più gravi, elencati tassativamente dalla legge. Chi intende impugnare una sentenza di patteggiamento deve assicurarsi che le proprie lamentele rientrino in una delle quattro categorie previste dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Contestare la valutazione delle circostanze da parte del giudice non è sufficiente. La conseguenza di un ricorso basato su motivi non ammessi è severa: non solo l’inammissibilità, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce che il ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento è consentito solo per motivi specifici: problemi nell’espressione della volontà, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, o illegalità della pena o della misura di sicurezza.

La mancata esclusione di una circostanza aggravante come la recidiva rende la pena patteggiata ‘illegale’?
Secondo questa ordinanza, no. La Corte di Cassazione ha chiarito che la contestazione sulla mancata esclusione di un’aggravante non costituisce un motivo di ‘illegalità della pena’ che possa giustificare un ricorso, in quanto non altera la natura o i limiti legali della sanzione applicata.

Cosa succede se si propone un ricorso per cassazione contro un patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro in favore della Cassa delle Ammende, commisurata al grado di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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