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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza di patteggiamento, poiché i motivi addotti non rientravano tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha chiarito che il ricorso patteggiamento è limitato a questioni specifiche come vizi della volontà, errori di qualificazione giuridica o illegalità della pena, escludendo censure generiche sull’inosservanza dell’art. 129 c.p.p. se non supportate da elementi concreti. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile?

La scelta del patteggiamento rappresenta una via processuale che offre vantaggi significativi, ma chiude anche molte porte, specialmente quella dell’impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, confermando la rigidità dei presupposti introdotti dalla riforma del 2017. Analizziamo questa decisione per comprendere quali sono i motivi validi per contestare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e quali, invece, conducono a una dichiarazione di inammissibilità.

Il Caso in Esame

Un imputato, dopo aver concordato la pena con il Pubblico Ministero e ottenuto la ratifica dal Tribunale di Isernia, ha presentato ricorso per cassazione. Il motivo principale del ricorso era la presunta inosservanza dell’articolo 129 del codice di procedura penale, che impone al giudice di prosciogliere l’imputato se sussistono le condizioni per farlo, anche dopo un accordo di patteggiamento. In sostanza, il ricorrente lamentava che il giudice avrebbe dovuto riconoscere una causa di non punibilità anziché applicare la pena concordata.

Limiti al Ricorso Patteggiamento secondo la Cassazione

La Corte Suprema ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda sull’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto con la legge n. 103 del 2017. Questa norma stabilisce in modo tassativo i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. Essi sono limitati a:

1. Vizi nella formazione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso è stato estorto con violenza o inganno.
2. Difetto di correlazione tra richiesta e sentenza: se il giudice ha applicato una pena diversa da quella concordata.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: se la sanzione applicata è contraria alla legge (es. superiore al massimo edittale).

La Corte ha sottolineato che la doglianza del ricorrente, relativa alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., non rientra in nessuno di questi specifici casi. Inoltre, i giudici hanno osservato che la censura era palesemente contraddetta dal contenuto della sentenza impugnata, la quale, seppur sinteticamente, aveva dato atto di aver verificato l’assenza di cause di proscioglimento prima di applicare la pena.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha ribadito che la decisione sull’inammissibilità di un ricorso patteggiamento di questo tipo deve essere adottata “de plano”, ovvero senza formalità e senza udienza, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. Questa procedura semplificata è l’unico modello previsto per gestire ricorsi avverso sentenze di applicazione della pena che non rispettano i requisiti di legge.

Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Come effetto di questa pronuncia, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha specificato che la condanna alla sanzione pecuniaria è dovuta, non ravvisandosi un’assenza di colpa nel proporre un’impugnazione al di fuori dei casi consentiti dalla legge, richiamando un principio affermato dalla Corte Costituzionale.

Conclusioni

Questa ordinanza conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza sui limiti all’impugnazione della sentenza di patteggiamento. La riforma del 2017 ha voluto definire un perimetro molto stretto per il ricorso, al fine di garantire la stabilità delle sentenze emesse con questo rito. Chi opta per il patteggiamento deve essere consapevole che la possibilità di contestare la decisione del giudice è circoscritta a vizi gravi e specifici, e non può basarsi su una generica rivalutazione del merito della vicenda processuale, come la potenziale esistenza di cause di proscioglimento che il giudice di merito ha già implicitamente o esplicitamente escluso.

È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento lamentando che il giudice doveva prosciogliere l’imputato?
No, non è possibile se la censura è generica. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. elenca tassativamente i motivi di ricorso, e la violazione dell’art. 129 c.p.p. (obbligo di proscioglimento) non è inclusa tra questi, a meno che non si configuri come un errore nella qualificazione giuridica del fatto o un’illegalità della pena.

Quali sono i motivi validi per impugnare una sentenza di patteggiamento?
I motivi sono esclusivamente quelli relativi all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, oppure all’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Cosa succede se si presenta un ricorso per motivi non consentiti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione con una procedura semplificata (“de plano”). Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata in 4.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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