Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile in Cassazione?
Il ricorso patteggiamento rappresenta una fase delicata del procedimento penale, in cui le possibilità di impugnazione sono strettamente definite dalla legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7, Num. 23313/2024) chiarisce in modo inequivocabile i confini dell’ammissibilità di tale ricorso, sottolineando come la scelta del rito alternativo comporti una rinuncia a far valere determinate contestazioni. Analizziamo questa decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Un imputato, a seguito di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto patteggiamento) emessa dal GIP del Tribunale, decideva di presentare ricorso per cassazione. Le sue doglianze si concentravano su tre aspetti: la presunta violazione di legge e carenza di motivazione nel giudizio di bilanciamento delle circostanze, nel trattamento sanzionatorio e, infine, nella durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha trattato il caso con la procedura semplificata de plano, prevista per i ricorsi palesemente inammissibili. Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che contro una sentenza di patteggiamento, l’imputato e il pubblico ministero possono ricorrere in Cassazione solo per motivi specifici e tassativi:
1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Mancata correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza emessa dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
I motivi addotti dal ricorrente, relativi al bilanciamento delle circostanze e alla congruità della pena, non rientrano in questo elenco. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato e generico.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha ribadito un principio fondamentale: chi sceglie il patteggiamento accetta la pena concordata e rinuncia a contestarne la congruità. Le censure relative alla valutazione delle circostanze attenuanti o aggravanti e alla quantificazione della pena sono precluse in sede di legittimità, poiché esulano dai vizi controllabili ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis c.p.p.
Particolarmente interessante è la precisazione sulla pena accessoria. Il ricorrente contestava la durata di cinque anni dell’interdizione dai pubblici uffici. La Cassazione ha chiarito che tale durata non è frutto di una valutazione discrezionale del giudice, ma una conseguenza automatica e predeterminata ex lege. L’articolo 29 del codice penale, infatti, prevede che una condanna a una pena superiore a tre anni di reclusione comporti di diritto l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Essendo la pena principale superiore a tale soglia nel caso di specie, l’applicazione della pena accessoria per quella durata era un atto dovuto e non un aspetto su cui il giudice potesse motivare diversamente.
Le Conclusioni
La decisione conferma la natura ‘chiusa’ delle impugnazioni contro le sentenze di patteggiamento. L’ordinanza serve da monito: un ricorso patteggiamento deve basarsi esclusivamente sui motivi, molto specifici, previsti dalla legge. Tentare di rimettere in discussione aspetti legati alla valutazione del merito della pena, già accettata con l’accordo, conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Tale esito, come stabilito dalla Corte, comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver promosso un’impugnazione priva dei requisiti di legge.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è possibile solo per i motivi tassativamente indicati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questi includono vizi del consenso, errata qualificazione giuridica del fatto, illegalità della pena o discordanza tra richiesta e sentenza, ma non la valutazione sulla congruità della pena.
La durata di una pena accessoria, come l’interdizione dai pubblici uffici, è a discrezione del giudice nel patteggiamento?
Non sempre. Come chiarito dalla Corte, se la legge prevede una durata fissa come conseguenza automatica (ex lege) della pena principale inflitta (ad esempio, 5 anni di interdizione per condanne superiori a 3 anni di reclusione), il giudice non ha discrezionalità e deve limitarsi ad applicarla.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte può condannarlo al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver avviato un’impugnazione senza fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23313 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23313 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GALLIPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2024 del GIP TRIBUNALE di LECCE
tdato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha pronunciato sentenza, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., nei confronti di NOME COGNOME.
Propone ricorso per cassazione l’imputato che denuncia violazione di legge e carenza di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento tra circostanze, al trattamento sanzionatorio ed alla durata della pena accessoria inflitta.
Il ricorso deve essere trattato nelle forme «de plano», ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. – come modificato dalla legge n. 103 del 2017 -, trattandosi di impugnazione, proposta avverso una sentenza di applicazione della pena pronunciata dopo l’entrata in vigore della novella, che deve essere dichiarata inammissibile perché proposta al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2- bis, cod. proc. pen. comunque per manifesta infondatezza e genericità dei motivi: in base al nuovo art. 448, co. 2 bis, cod. proc. pen., il pubblico ministero e l’imputato possono infatti proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità pena o della misura di sicurezza.
Quanto al motivo inerente la durata della pena accessoria, è appena il caso di osservare come la durata di anni cinque della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, prevista dall’art. 29 cod. pen., sia predeterminata ex lege, e consegua di diritto alla pronuncia di condanna a pena superiore ad anni 3 di reclusione, come avvenuto nel caso di specie.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.; valutati i profili di colpa n determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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