Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Cassazione
L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta, comunemente noto come patteggiamento, rappresenta uno strumento fondamentale per la deflazione del carico giudiziario. Tuttavia, la sua natura consensuale impone limiti stringenti alla possibilità di impugnazione. Con la recente ordinanza n. 18779/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito la tassatività dei motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, dichiarando inammissibile un’impugnazione fondata su ragioni non contemplate dalla legge.
I Fatti del Caso: L’Impugnazione di una Sentenza di Patteggiamento
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Messina. L’imputato, dopo aver concordato la pena con il pubblico ministero e ottenuto la ratifica del giudice, decideva di impugnare la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione.
I Motivi del Ricorso Patteggiamento: Una Difesa non Prevista
I motivi del ricorso si concentravano su un aspetto specifico: la presunta mancanza di motivazione da parte del giudice di merito circa l’insussistenza di cause di proscioglimento, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale. In sostanza, il ricorrente sosteneva che il giudice, prima di applicare la pena concordata, avrebbe dovuto escludere in modo più esplicito e argomentato la possibilità di un’assoluzione immediata.
Questa linea difensiva, tuttavia, si scontra con i limiti normativi specifici che regolano questo tipo di impugnazione.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno richiamato il dettato dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono:
1. Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
La Corte ha evidenziato come le doglianze del ricorrente, relative alla motivazione sulle cause di proscioglimento, non rientrassero in nessuna di queste categorie. Di conseguenza, il ricorso patteggiamento è stato proposto per motivi non consentiti dalla legge, rendendolo inammissibile sin dall’inizio.
Le Conclusioni: Inammissibilità e Conseguenze Economiche
L’ordinanza in esame conferma il rigore con cui la giurisprudenza interpreta le norme sull’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La scelta di questo rito alternativo implica una sostanziale rinuncia a far valere determinate difese nel merito. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione serve da monito: il ricorso in Cassazione non è uno strumento per rimettere in discussione l’accordo raggiunto, ma solo un rimedio eccezionale per correggere vizi specifici e gravi espressamente previsti dal legislatore.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce motivi tassativi. Il ricorso è ammesso solo per questioni relative all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto o all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Qual era il motivo del ricorso nel caso specifico e perché è stato respinto?
Il ricorrente lamentava la mancata motivazione sull’insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. Il motivo è stato respinto perché non rientra tra quelli specificamente ed esclusivamente previsti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata equitativamente fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18779 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18779 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/10/2023 del TRIBUNALE di MESSINA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso proposto da COGNOME NOME nei confronti della sentenza di applicazione della pena su richiesta pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Messina il 25/10/2023 è manifestamente infondato, in quanto con entrambi i motivi si deduce la mancanza di motivazione circa l’insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., mentre attualmente, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., il pubblico ministero l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza, evenienze neppure prospettat dal ricorrente, con la conseguente manifesta infondatezza del suo ricorso, proposto per motivi non consentiti avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta.
Rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente