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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento, poiché basato su motivi non previsti dalla legge. L’imputato, condannato per un reato di droga, aveva lamentato la mancanza di motivazione della sentenza, un motivo non contemplato dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ribadisce che le impugnazioni contro le sentenze di patteggiamento sono possibili solo per ragioni tassativamente indicate, come problemi nel consenso o illegalità della pena. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile? L’Analisi della Cassazione

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento processuale che permette di definire un procedimento penale in modo più rapido. Tuttavia, le sentenze emesse in seguito a questo rito speciale non sono liberamente impugnabili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili del ricorso patteggiamento, sottolineando come solo specifici motivi, tassativamente elencati dalla legge, possano giustificare un’impugnazione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza del Giudice per l’Udienza Preliminare (GUP) del Tribunale di Bari. L’imputato, attraverso il rito del patteggiamento previsto dall’art. 444 del codice di procedura penale, aveva concordato una pena di due anni di reclusione e 8.000 euro di multa per un reato legato agli stupefacenti (art. 73, comma 4, D.P.R. 309/1990).

Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione. La sua doglianza non riguardava l’accordo raggiunto, ma si concentrava su un presunto vizio della sentenza: la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione. Secondo la difesa, il giudice non aveva adeguatamente esplicitato il percorso argomentativo che lo aveva portato a ratificare il patteggiamento.

I Motivi del Ricorso e le Strette Maglie del Ricorso Patteggiamento

La difesa dell’imputato ha tentato di scardinare la sentenza basandosi su un vizio di motivazione, un motivo di ricorso comune in altri contesti processuali. Tuttavia, nel contesto specifico del patteggiamento, questa strada si è rivelata impraticabile. La legge, infatti, pone paletti molto rigidi.

L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto nel 2017, elenca in modo tassativo i soli motivi per cui è ammesso un ricorso patteggiamento. Essi sono:

1. Vizi del consenso: quando l’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare è viziata.
2. Difetto di correlazione: se c’è una discordanza tra la richiesta di patteggiamento e quanto deciso nella sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: se la sanzione applicata è contraria alla legge.

Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in questo elenco ristretto non può essere preso in considerazione dalla Corte.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con un’argomentazione netta e puramente procedurale, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno semplicemente constatato che la censura sollevata dall’imputato – la carenza di motivazione – non rientra in nessuna delle quattro categorie consentite dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Il legislatore, limitando i motivi di impugnazione, ha voluto blindare l’accordo tra accusa e difesa che sta alla base del patteggiamento, evitando che esso possa essere messo in discussione per ragioni generiche o pretestuose. La logica è semplice: se le parti hanno raggiunto un accordo sulla pena, non ha senso consentire un’impugnazione basata su aspetti, come la motivazione sul merito, che il rito stesso mira a superare.

La decisione, pertanto, è stata pronunciata “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., una procedura accelerata per i ricorsi palesemente inammissibili.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche dell’Inammissibilità

Le implicazioni di questa ordinanza sono chiare e severe. La declaratoria di inammissibilità non è una mera formalità, ma comporta conseguenze economiche significative per il ricorrente. La Corte ha condannato l’imputato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 4.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Questa sanzione è giustificata dall'”elevato coefficiente di colpa” nel proporre un ricorso basato su motivi non consentiti. In pratica, la Corte sanziona un uso improprio dello strumento dell’impugnazione. Questa pronuncia serve da monito: prima di presentare un ricorso patteggiamento, è fondamentale che la difesa valuti con estremo rigore se i motivi rientrano nel perimetro tracciato dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., per evitare di incorrere in una declaratoria di inammissibilità e nelle relative sanzioni economiche.

È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per i motivi tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che includono vizi del consenso, errata qualificazione giuridica del fatto, illegalità della pena o discordanza tra richiesta e sentenza.

La mancanza di motivazione è un motivo valido per impugnare un patteggiamento?
No. Come chiarito dalla sentenza in esame, la contestazione relativa alla motivazione della sentenza non rientra tra i motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento e, pertanto, rende il ricorso inammissibile.

Cosa succede se un ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, il cui importo è stabilito dal giudice in base alla colpa nella proposizione del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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