Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Cassazione
L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie più comuni per la definizione accelerata dei procedimenti penali. Tuttavia, la sua natura di accordo tra le parti impone limiti stringenti alla possibilità di impugnazione. Con l’ordinanza n. 10533 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, chiarendo la differenza fondamentale tra un mero errore di calcolo della pena e la sua ‘illegalità’.
I Fatti del Caso in Esame
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal GIP del Tribunale di Palermo. L’imputato, dopo aver concordato la pena, decideva di impugnarla dinanzi alla Suprema Corte, lamentando un’erronea quantificazione della stessa. Nello specifico, la doglianza si concentrava sull’aumento di pena applicato per una circostanza aggravante, ritenuto non corretto.
Limiti al Ricorso Patteggiamento: l’Art. 448 c.p.p.
Il punto nevralgico della questione risiede nell’interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso patteggiamento in Cassazione solo per motivi molto specifici, quali:
1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato.
2. Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Il ricorrente basava la sua impugnazione su quest’ultimo punto, sostenendo che l’errore di calcolo configurasse un’ipotesi di ‘illegalità della pena’.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno stabilito che la contestazione sollevata dall’imputato non rientrava in nessuna delle categorie tassativamente previste dalla legge per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento.
Le Motivazioni: la Differenza tra ‘Erronea Quantificazione’ e ‘Illegalità della Pena’
La Corte ha fornito una motivazione chiara e dirimente. Un conto è l’illegalità della pena, un altro è un presunto errore nella sua quantificazione. La pena è ‘illegale’ quando non è prevista dalla legge per quel tipo di reato, oppure quando viene applicata in una misura che eccede i limiti massimi o minimi stabiliti dalla norma (pena contra legem).
Nel caso di specie, invece, il ricorrente contestava il quantum dell’aumento per una circostanza aggravante. La Corte, richiamando anche un precedente del 2019, ha osservato che l’aumento di pena contestato non superava il limite di un terzo della pena base (già aumentata per la recidiva), rimanendo quindi pienamente all’interno della cornice edittale prevista dalla legge. Un simile calcolo, anche se potenzialmente discutibile nel merito, non rende la pena ‘illegale’, ma attiene alla mera quantificazione, un aspetto che si considera concordato e accettato dalle parti con la sottoscrizione del patteggiamento.
Le Conclusioni: le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo che, una volta raggiunto e ratificato dal giudice, acquista una stabilità quasi definitiva. L’accesso al ricorso in Cassazione è un’eccezione, limitata a vizi macroscopici e strutturali che inficiano la legalità stessa dell’accordo o della pena applicata. Contestare gli aspetti discrezionali del calcolo della pena, che sono stati oggetto dell’accordo tra accusa e difesa, non è un motivo valido per impugnare. La decisione riafferma la natura negoziale del rito e mira a prevenire ricorsi dilatori che snaturerebbero la funzione deflattiva del patteggiamento stesso.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita la possibilità di ricorso solo a quattro specifici motivi: problemi con l’espressione della volontà, discordanza tra richiesta e sentenza, errata qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Un errore nel calcolo della pena la rende automaticamente ‘illegale’?
No. Secondo questa ordinanza, un errore nella quantificazione della pena, come un calcolo ritenuto errato per un’aggravante, non configura ‘illegalità della pena’ finché la sanzione finale rimane entro i limiti minimi e massimi previsti dalla legge per quel reato. La pena è illegale solo se è di un tipo non previsto o se viola i limiti edittali.
Qual è stato l’esito del ricorso in questo specifico caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ritenuto che il motivo addotto dal ricorrente, relativo alla quantificazione di un aumento di pena, non rientrasse tra le cause tassative che consentono di impugnare una sentenza di patteggiamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10533 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10533 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/11/2023 del GIP TRIBUNALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Cd ato avviso alle parti2
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Rilevato che si procede de plano;
Rilevato che è stata impugnata una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., e che, in punto di impugnazione della sentenza di patteggiamento, l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. dispone che “il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso pe cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputa al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica d e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza”, mentre nel caso in esame il ricorso cont la quantificazione della pena, deducendo, però, una violazione di legge nell’aumento per l’aggravante ad effetto ordinario dell’art. 61, n. 11-quater, cod. pen. che non emerge dal te del provvedimento impugnato, atteso che gli aumenti di pena per tale aggravante “non avevano complessivamente superato il terzo della pena fissata per il reato base, come aumentato per la circostanza aggravante ad effetto speciale della recidiva aggravata, contestata e ritenuta” (Se 5, Sentenza n. 7574 del 15/01/2019, Bianchi, Rv. 275632) (nel caso in esame, pena conseguente all’aumento per la recidiva: 2 anni e 6 mesi di reclusione ed euro 5.000 di multa pena conseguente all’aumento per l’aggravante dell’art. 61, n. 11-quater, cod. pen.: 2 anni e mesi di reclusione ed euro 6.000 di multa);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna de ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 febbraio 2024.