Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Ribadisce i Rigidi Limiti di Impugnazione
L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sui limiti dell’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di applicazione della pena su richiesta, comunemente nota come patteggiamento. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso patteggiamento presentato da un imputato, confermando che tale via è percorribile solo per motivi specifici e tassativamente previsti dalla legge. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le ragioni della decisione.
I Fatti del Caso: Una Condanna per Droga e l’Appello in Cassazione
Un imputato veniva condannato dal Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Ravenna, tramite patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p., a una pena di tre mesi e quindici giorni di reclusione e cento euro di multa. La condanna riguardava reati in materia di stupefacenti, posti in continuazione con una precedente sentenza della Corte di Appello di Bologna.
Contro questa decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, sollevando due questioni principali: una presunta violazione di legge e, soprattutto, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
La Decisione della Corte e i Limiti del Ricorso Patteggiamento
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Il cuore della decisione si basa su un principio cardine della procedura penale: il ricorso patteggiamento non è uno strumento di appello generalizzato. L’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. elenca in modo esplicito e restrittivo i soli motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta.
I giudici hanno rilevato che le argomentazioni del ricorrente non rientravano in nessuna delle categorie ammesse dalla norma. Di conseguenza, il ricorso è stato considerato, fin da subito, privo dei presupposti legali per essere esaminato nel merito.
Le Motivazioni: Errore di Sede e Manifesta Infondatezza
La Corte ha smontato le argomentazioni difensive con due osservazioni cruciali. 
In primo luogo, la questione di legittimità costituzionale sollevata era irrilevante. L’imputato si lamentava di una norma relativa alla riduzione di pena in caso di rinuncia all’impugnazione, un meccanismo previsto per il giudizio abbreviato e gestito dal Giudice dell’esecuzione. Tuttavia, il suo caso si era concluso con un patteggiamento, un rito completamente diverso. Era stato commesso, quindi, un errore di sede e di procedura, confondendo istituti non assimilabili.
In secondo luogo, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La sentenza impugnata non conteneva alcun riferimento alla presunta ‘rinuncia preventiva’ all’impugnazione su cui si basava gran parte del ricorso. Mancava quindi qualsiasi base fattuale e motivazionale per sostenere la doglianza.
Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità
La pronuncia di inammissibilità non è stata priva di conseguenze. Richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 186/2000), la Cassazione ha stabilito che non vi erano elementi per ritenere che il ricorrente avesse proposto l’impugnazione senza colpa. Pertanto, in applicazione dell’art. 616 c.p.p., l’imputato è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: prima di impugnare una sentenza di patteggiamento, è essenziale verificare scrupolosamente se i propri motivi di doglianza rientrino nel novero, molto ristretto, di quelli consentiti dalla legge. Tentare un’impugnazione basata su argomenti generici o non pertinenti conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità e a sanzioni economiche aggiuntive.
 
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No. Secondo l’art. 448, comma 2-bis del codice di procedura penale, l’imputato può ricorrere per cassazione contro una sentenza di patteggiamento solo per i motivi espressamente previsti dalla norma, come ad esempio un errore nel calcolo della pena o l’applicazione di una pena illegale.
Qual è la conseguenza di un ricorso inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro in favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri di aver agito senza colpa. In questo caso, la somma è stata fissata in 3.000 euro.
Perché la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente è stata considerata irrilevante?
Perché la norma di cui si lamentava la presunta incostituzionalità riguardava un istituto (la riduzione di pena per rinuncia all’impugnazione nel giudizio abbreviato) non applicabile al caso di specie, che si era concluso con un patteggiamento. La doglianza era quindi fuori tema e proposta nella sede processuale sbagliata.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7257 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 7257  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/07/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di RAVENNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Con sentenza del 20 luglio 2023 il GUP del Tribunale di Ravenna ha condannato NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., alla pena di mesi tre e giorni quindici di reclusione ed euro cento di multa, per il reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 in continuazione con la sentenza del 27 novembre 2014 emessa dalla Corte di Appello di Bologna.
Avverso tale sentenza l’imputato ricorre per cassazione, sollevando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 448 comma 2-bis cod. proc. pen. e deducendo violazione di legge con riguardo agli artt. 448 comma 2-bis cod. proc. pen., 132, 23 e 24 cod. pen.
Il ricorso (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile.
La questione di legittimità costituzionale è irrilevante.
Deve rammentarsi che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., l’imputato può ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta per le sole ipotesi espressamente previste dalla norma (cfr. Sez. 5, n. 21497 del 12/03/2021, Ricciardi, Rv. 281182).
Si osserva, inoltre, che il ricorrente si duole della legittimità costituzionale una norma (quale la riduzione di pena in sede esecutiva nell’ipotesi di rinuncia preventiva a proporre impugnazione) prevista all’esito del giudizio abbreviato e comunque deducibile avanti al Giudice dell’esecuzione, e non nell’ambito di giudizio di cognizione conclusosi con l’applicazione di pena concordata. Né risulta in ogni caso censurata la sentenza impugnata che, di detta pretesa rinuncia preventiva, non ha fornito alcuna traccia motivazionale. Né, per vero, parte ricorrente ha espressamente sostenuto di avere intrapreso siffatta iniziativa processuale.
Non può quindi che concludersi, data la manifesta infondatezza della doglianza, nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente