Ricorso Patteggiamento: La Cassazione chiarisce i nuovi limiti post-riforma
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha messo in luce le significative restrizioni introdotte dalla Riforma Cartabia in materia di ricorso patteggiamento. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile un’impugnazione contro una sentenza di applicazione della pena, poiché basata su motivi non più contemplati dalla normativa vigente. Questa decisione offre un importante chiarimento sui limiti attuali di questo strumento processuale.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Mantova. Il ricorrente lamentava, in sostanza, che il giudice di merito non avesse effettuato il controllo preliminare sulla possibile sussistenza di cause di non punibilità, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento dopo la Riforma Cartabia
Il cuore della questione risiede nella modifica legislativa che ha interessato le impugnazioni delle sentenze di patteggiamento. La Cassazione ha evidenziato come, a seguito della riforma, l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale delimiti in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso. Attualmente, il ricorso patteggiamento è consentito solo per le seguenti ragioni:
1.  Vizi della volontà: problemi relativi all’espressione del consenso da parte dell’imputato.
2.  Difetto di correlazione: discrepanza tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa dal giudice.
3.  Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato inquadrato in una fattispecie giuridica sbagliata.
4.  Illegalità della pena o della misura di sicurezza: qualora la sanzione applicata sia contraria alla legge.
Qualsiasi altro motivo, inclusa la presunta omissione del vaglio ex art. 129 c.p.p., non è più considerato una valida ragione di impugnazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
Sulla base di queste premesse, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione è stata presa senza particolari formalità procedurali, applicando l’articolo 610, comma 5-bis, c.p.p., che consente una declaratoria rapida per i ricorsi palesemente infondati.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte è lineare e rigorosa. Il motivo addotto dal ricorrente, pur potendo avere una sua rilevanza in passato, oggi non rientra più nel novero di quelli espressamente e tassativamente previsti dalla legge. La riforma ha voluto restringere l’ambito di appellabilità delle sentenze di patteggiamento per deflazionare il carico giudiziario e dare maggiore stabilità agli accordi tra accusa e difesa. Proporre un ricorso per motivi non consentiti si traduce in un’immediata declaratoria di inammissibilità. Come conseguenza diretta, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rappresenta un monito fondamentale per gli operatori del diritto. La possibilità di contestare una sentenza di patteggiamento è oggi circoscritta a vizi specifici e gravi. Non è più possibile sollevare questioni di carattere generale o relative a presunte omissioni procedurali che non siano espressamente contemplate dalla nuova normativa. La strategia difensiva deve quindi concentrarsi esclusivamente sui ristretti binari delineati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., per evitare che il ricorso venga dichiarato inammissibile con conseguenti oneri economici per l’assistito.
 
È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No. Dopo la recente riforma, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca tassativamente i soli motivi ammessi: problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per un motivo non consentito dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione, anche senza formalità di procedura. Questo comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata di 3.000 euro.
Nel caso specifico, perché il ricorso è stato respinto?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché basato sulla presunta omissione del vaglio preliminare previsto dall’art. 129 cod. proc. pen., un motivo che non rientra più tra quelli consentiti per impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5213 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 5213  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/06/2023 del GIP TRIBUNALE di MANTOVA
dato avviso alle erti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che il ricorso attinge la sentenza di applicazione della pena richiesta dalle parti, ex art. 444  cod. proc. pen,, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Mantova, nei confronti di NOME COGNOME , nella parte in cui non v’è stato il preliminare vaglio di cui all’art. 1 cod. proc. pen.;
considerato che il motivo non è consentito, dopo la modifica introdotta dalla citata riforma, posto che il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed all’illegalità della pena o dell misura di sicurezza (art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.);
ritenuto che, quindi, il ricorso è affetto da inammissibilità che può essere dichiarata senza formalità di procedura, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 novembre 2023