Ricorso patteggiamento: quando la Cassazione lo dichiara inammissibile
L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie più percorse nel processo penale per definire la posizione di un imputato in modo rapido. Tuttavia, la possibilità di contestare la sentenza che ne deriva è soggetta a limiti ben precisi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questi paletti, chiarendo quando un ricorso patteggiamento non può superare il vaglio di ammissibilità. Analizziamo la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.
I fatti del caso
Nel caso di specie, un imputato aveva concordato con la Procura una pena di otto mesi di reclusione e 600 euro di multa per il reato di cui all’art. 603-bis del codice penale. L’accordo era stato ratificato dal Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) del Tribunale di Bari con una sentenza di patteggiamento.
Successivamente, l’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione contro tale sentenza. La principale doglianza riguardava la presunta violazione di legge da parte del G.I.P., il quale, secondo la difesa, non avrebbe verificato la possibile sussistenza di cause di proscioglimento immediato, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
La decisione della Corte di Cassazione sul ricorso patteggiamento
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto con la riforma del 2017 (legge n. 103).
Questa norma ha infatti ristretto notevolmente i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento, al fine di evitare impugnazioni puramente dilatorie e deflazionare il carico della Cassazione.
Le motivazioni
La Corte ha chiarito che il ricorso patteggiamento è consentito esclusivamente per i seguenti motivi tassativi:
1. Vizio nella espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso all’accordo non è stato prestato liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha emesso una pronuncia che non corrisponde all’accordo tra le parti.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato contestato è stato inquadrato in una fattispecie giuridica sbagliata.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza: se la sanzione irrogata è contraria alla legge per specie o quantità.
Nel caso in esame, la censura mossa dall’imputato – ovvero la mancata verifica delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. – non rientra in nessuna di queste categorie. La Corte ha sottolineato che, una volta che le parti hanno raggiunto un accordo sulla pena, il controllo del giudice è finalizzato alla ratifica di tale accordo e non a una rivalutazione del merito che possa sfociare in un proscioglimento, a meno che non emerga con assoluta evidenza una causa di non punibilità.
La doglianza dell’imputato, quindi, si collocava al di fuori del perimetro di impugnabilità tracciato dalla legge. A sostegno della propria decisione, i giudici hanno richiamato consolidata giurisprudenza che conferma questa interpretazione restrittiva.
Le conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio fondamentale della procedura penale post-riforma: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia significativa al diritto di impugnazione. Chi accede a questo rito deve essere consapevole che le possibilità di contestare la sentenza sono estremamente limitate e circoscritte a vizi specifici e formali. La presunta innocenza nel merito, se non evidente ictu oculi al giudice del patteggiamento, non può essere fatta valere come motivo di ricorso in Cassazione. La decisione ha quindi un’importante valenza pratica, orientando difensori e imputati a una valutazione più attenta e consapevole dei pro e contro della scelta del rito alternativo.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato?
No, secondo l’ordinanza, questo motivo non rientra tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. e, pertanto, un ricorso basato su tale censura è inammissibile.
Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi sono: problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se non vi sono ragioni di esonero, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4506 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4506 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GRUMO APPULA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/11/2022 del GIP TRIBUNALE di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, il G.I.P. del Tribunale di Bari, su concorde richiesta delle parti, ha applicato a COGNOME NOME, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di mesi otto di reclusione ed euro seicento di multa in relazione al reato di cui all’art. 603 bis cod. pen..
L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso tale sentenza, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata verificata della possibilità di emettere sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen..
Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non proponibili in sede di legittimità.
Trattandosi di sentenza che ha ratificato l’accordo proposto successivamente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 50, legge n. 103 del 2017, trova applicazione il comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen. che limita il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di patteggiamento ai soli casi in esso previsti («motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena della misura di sicurezza»).
Ebbene, in tema di patteggiamento, è inammissibile il ricorso per Cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod., atteso che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278337; Sez. F, Ord. n. 28742 del 25/08/2020, Messnaoui, Rv. 279761; Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014).
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila alla Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.