Ricorso Patteggiamento: i Limiti Tassativi Fissati dalla Cassazione
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui confini del ricorso patteggiamento, chiarendo in modo inequivocabile quali motivi possono essere sollevati contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La decisione evidenzia la natura speciale di questo tipo di impugnazione, limitata a vizi specifici e non aperta a censure generiche sulla motivazione del giudice. Analizziamo insieme i dettagli del caso e il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte.
Il Caso: dal Patteggiamento al Ricorso in Cassazione
La vicenda trae origine da una sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Roma, che aveva accolto la richiesta di patteggiamento concordata tra l’imputato e il Pubblico Ministero. Al soggetto era stata applicata una pena di due anni e dieci mesi di reclusione, oltre a una multa, per un reato posto in continuazione con un altro già giudicato con sentenza irrevocabile.
Nonostante l’accordo sulla pena, la difesa dell’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo: la violazione di legge per carenza di motivazione. Nello specifico, si lamentava che il giudice di primo grado non avesse adeguatamente argomentato sull’insussistenza delle cause di proscioglimento previste dall’articolo 129 del codice di procedura penale, che impongono l’assoluzione immediata anche in presenza di un accordo tra le parti.
I Limiti del Ricorso Patteggiamento
Il cuore della questione risiede nella corretta interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla riforma del 2017, ha circoscritto in modo netto le ragioni per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. Il legislatore ha voluto così definire un perimetro invalicabile per il ricorso patteggiamento, al fine di garantire la stabilità di decisioni che nascono da un accordo processuale.
Secondo la disposizione citata, il ricorso è ammesso solo per motivi attinenti a:
1. L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Come si può notare, si tratta di un elenco tassativo che non lascia spazio a interpretazioni estensive.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha applicato rigorosamente il dettato normativo. I giudici hanno affermato che la censura sollevata dalla difesa, relativa alla presunta mancata verifica delle cause di assoluzione, non rientra in nessuna delle ipotesi consentite dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p.
In altre parole, il controllo che il legislatore ha riservato alla Cassazione sulle sentenze di patteggiamento non riguarda la completezza della motivazione del giudice di merito, ma solo la presenza di specifici vizi di legalità. La scelta di patteggiare implica una rinuncia a contestare nel merito l’accusa, salvo i casi eccezionali e specifici previsti dalla legge.
La Corte ha quindi ribadito un orientamento consolidato, secondo cui è inammissibile un ricorso che deduca la violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento, proprio perché tale motivo è estraneo al catalogo chiuso previsto per l’impugnazione del patteggiamento.
Le Conclusioni
La decisione in esame conferma la specialità del rito del patteggiamento e dei relativi mezzi di impugnazione. L’imputato che sceglie questa via processuale deve essere consapevole che le possibilità di contestare la sentenza sono estremamente limitate. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, per l’imputato, non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa ravvisata nel proporre un’impugnazione priva dei requisiti di legge.
È possibile presentare un ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento lamentando che il giudice non ha verificato la presenza di cause di assoluzione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca tassativamente i motivi per cui si può ricorrere contro una sentenza di patteggiamento, e la mancata verifica delle cause di proscioglimento dell’art. 129 c.p.p. non è tra questi.
Quali sono i motivi validi per impugnare una sentenza di patteggiamento in Cassazione?
I motivi ammessi sono solo quelli relativi a: espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, oppure illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2614 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 2614 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/10/2023 del GIUDICE per le INDAGINI PRELIMINARI del TRIBUNALE di ROMA udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; ricorso trattato con procedura de plano.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma con sentenza del 20/10/2023 applicava a NOME COGNOME – su concorde richiesta delle parti – la pena di anni due mesi dieci di reclusione ed euro millecinquecento di multa per il reato ascrittigli, così rideterminata a seguito della ritenut continuazione con altro reato già giudicato con sentenza irrevocabile.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ritenendo carente la motivazione in ordine alla insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1 Ed invero, è articolato su censura non consentita in questa sede alla luce di quanto espressamente disposto dall’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., a
mente del quale il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra l richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed all’illegal della pena o della misura di sicurezza.
In particolare, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., atteso che l’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate, tra cui non rientrano quella denunciata con il presente ricorso (Sezione Feriale, n. 28742 del 25/8/2020, Messnaoui, Rv. 279761 – 01; Sezione 6, n. 1032 del 7/11/2019, Pierri, Rv. 278337 – 01).
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 15 gennaio 2024.