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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza di patteggiamento. L’appello si basava sulla presunta mancata valutazione delle cause di proscioglimento da parte del giudice. La Corte ha ribadito che, a seguito della riforma del 2017, i motivi di ricorso contro il patteggiamento sono tassativamente limitati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., e la doglianza sollevata non rientra tra questi. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile Secondo la Cassazione

Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate della procedura penale, specialmente dopo le modifiche introdotte dalla Riforma Orlando. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 2541/2024) torna sul tema, delineando con fermezza i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La decisione sottolinea come non tutte le doglianze siano ammesse, con conseguenze significative per chi tenta di rimettere in discussione l’accordo.

I Fatti del Caso: Un Appello Respinto in Partenza

Il caso trae origine dal ricorso presentato dalla difesa di un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bologna. Il motivo principale del ricorso era la presunta mancata valutazione, da parte del giudice di merito, della sussistenza di eventuali cause di proscioglimento, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale. In sostanza, la difesa sosteneva che il giudice, prima di ratificare l’accordo sulla pena, avrebbe dovuto verificare con maggiore attenzione la possibile innocenza dell’imputato.

La Decisione della Corte e il Ricorso Patteggiamento

La Corte di Cassazione, con una procedura snella e senza udienza pubblica (“de plano”), ha dichiarato il ricorso “palesemente inammissibile”. Questa decisione non entra nel merito della questione sollevata, ma si ferma a un livello precedente, quello della sua ammissibilità formale. La Corte ha stabilito che il motivo di ricorso addotto dal difensore non rientra nel novero di quelli consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.

Di conseguenza, l’imputato è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle Ammende, una sanzione prevista proprio per i ricorsi inammissibili.

Le Motivazioni: L’Impatto dell’Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla Legge n. 103 del 23 giugno 2017 (nota come Riforma Orlando). Questa norma ha drasticamente limitato la possibilità di presentare un ricorso patteggiamento in Cassazione.

La legge elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile impugnare:

1. Errata espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena applicata.

La Cassazione ha evidenziato come la doglianza relativa alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. non sia inclusa in questo elenco. Pertanto, un ricorso basato su tale presupposto è, per definizione, inammissibile. La Corte ha rafforzato il proprio ragionamento citando precedenti giurisprudenziali conformi, che hanno già consolidato questo orientamento. La volontà del legislatore del 2017 era chiara: dare maggiore stabilità agli accordi di patteggiamento, evitando ricorsi pretestuosi o dilatori basati su motivi generici.

Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche della Decisione

L’ordinanza in esame conferma un principio ormai consolidato: l’accesso al giudizio di Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento è un percorso a ostacoli, limitato a violazioni di legge specifiche e ben definite. La decisione ha importanti implicazioni pratiche:

* Consapevolezza dell’accordo: Chi sceglie la via del patteggiamento deve essere pienamente consapevole che la possibilità di impugnare la sentenza è estremamente ridotta. La scelta del rito alternativo assume un carattere di quasi-definitività.
* Onere della Difesa: I difensori devono informare chiaramente i propri assistiti dei limiti strettissimi del ricorso patteggiamento, concentrando eventuali motivi di impugnazione esclusivamente sulle violazioni elencate dall’art. 448, comma 2-bis.
* Rischio economico: La presentazione di un ricorso inammissibile comporta non solo la conferma della condanna, ma anche un’ulteriore sanzione economica a carico del ricorrente. Questo funge da deterrente contro impugnazioni infondate.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto nel 2017, limita la possibilità di ricorso a specifici e tassativi motivi di violazione di legge, escludendo altre doglianze di carattere più generale.

La mancata valutazione delle cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per impugnare un patteggiamento?
No. Secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, a seguito della riforma del 2017, questo motivo non rientra più tra quelli per cui è ammesso il ricorso contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Cosa succede se un ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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