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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento, poiché i motivi addotti (carenza di motivazione e violazione degli artt. 129 e 131 bis c.p.) non rientrano tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. per impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammissibile e Perché la Cassazione lo Dichiara Inammissibile

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale penale. Tuttavia, le possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva sono molto limitate. Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, sottolineando come non tutte le doglianze possano essere portate all’attenzione dei giudici di legittimità.

Il Caso: Un Ricorso Contro una Sentenza di Patteggiamento

Nel caso di specie, un imputato, dopo aver concordato la pena con il Pubblico Ministero per il reato di cui all’art. 493 c.p., aveva ottenuto una sentenza di patteggiamento dal Tribunale di Aosta. Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, affidandosi al proprio difensore.

Le lamentele sollevate riguardavano principalmente due aspetti: la presunta carenza di motivazione della sentenza e la violazione di due importanti norme del codice di procedura penale, l’art. 129 (obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità) e l’art. 131 bis c.p. (esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto). In sostanza, secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato o riconoscere la minima offensività del reato, anziché ratificare il patteggiamento.

I Motivi del Ricorso Patteggiamento e il Filtro della Legge

La Corte di Cassazione ha immediatamente dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su una norma specifica che agisce come un vero e proprio filtro per le impugnazioni in questa materia: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

La Tassatività dei Motivi di Ricorso

Questa norma, introdotta con la legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta “Riforma Orlando”), elenca in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento in Cassazione. Essi sono:
1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
2. Mancata correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.

Qualsiasi motivo che non rientri in questo elenco chiuso è, per definizione, inammissibile.

Valutazioni di Merito Escluse

I motivi sollevati dalla difesa – relativi alla valutazione del fatto per un’eventuale assoluzione ex art. 129 c.p.p. o per il riconoscimento della particolare tenuità ex art. 131 bis c.p. – sono questioni di merito. Richiedono, infatti, una valutazione delle prove e delle circostanze del caso concreto, un’attività che è preclusa non solo in sede di legittimità ma, soprattutto, dopo che l’imputato ha volontariamente scelto di definire il processo con un accordo sulla pena.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha spiegato in modo lapidario che i due motivi di ricorso esulano completamente dall’ambito di impugnazione consentito. Attengono a profili di valutazione del fatto che non rientrano in nessuna delle quattro categorie previste dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. L’impugnazione, pertanto, è stata ritenuta inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale. La conseguenza di tale declaratoria, come previsto dall’art. 616 c.p.p., è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, quantificata in 3.000,00 euro.

Le Conclusioni: Cosa Impariamo da Questa Decisione

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia a far valere determinate contestazioni nel merito. L’imputato che accetta di patteggiare non può, in un secondo momento, chiedere alla Cassazione di rivalutare i fatti per ottenere un’assoluzione che non ha cercato nel giudizio di merito. Il ricorso patteggiamento è uno strumento eccezionale, limitato a correggere errori procedurali gravi o palesi illegalità, e non una via per rimettere in discussione l’opportunità dell’accordo raggiunto.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è ammesso solo per i motivi tassativamente elencati nell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, quali vizi della volontà, erronea qualificazione giuridica del fatto, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, o illegalità della pena.

La mancata valutazione della particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) è un motivo valido per impugnare un patteggiamento?
No, secondo questa ordinanza, tale motivo attiene a una valutazione del fatto e non rientra tra le ragioni consentite dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento, rendendo il ricorso inammissibile.

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
La conseguenza è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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