Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Cassazione
Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle aree più delicate della procedura penale, specialmente dopo le recenti riforme legislative. Con l’ordinanza n. 830/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, meglio nota come ‘patteggiamento’. Questa decisione chiarisce che non tutti i presunti vizi possono giustificare un ricorso, delineando un perimetro normativo molto preciso.
I Fatti del Caso
Un imputato, dopo aver concordato la pena con il Pubblico Ministero e aver ottenuto la ratifica dal Tribunale di Parma, decideva di presentare ricorso per cassazione. Il motivo principale del ricorso era la presunta violazione di legge da parte del giudice di merito. Secondo la difesa, il giudice non avrebbe adeguatamente verificato la possibile esistenza di cause di proscioglimento, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale. In sostanza, si contestava che, prima di applicare la pena concordata, il giudice avrebbe dovuto accertare con maggiore scrupolo che non vi fossero le condizioni per un’assoluzione piena.
I limiti del ricorso patteggiamento secondo la Cassazione
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile con una procedura semplificata (de plano), senza nemmeno la necessità di un’udienza. La Corte ha fondato la sua decisione su un’interpretazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto con la legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta ‘Riforma Orlando’).
Questo articolo elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. La Corte ha sottolineato che tra questi motivi non figura la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento. Di conseguenza, sollevare tale vizio in sede di cassazione è un’azione non consentita dalla legge.
L’impatto della Riforma Orlando sul ricorso patteggiamento
La decisione evidenzia un punto cruciale: la giurisprudenza precedente alla Riforma Orlando, che in alcuni casi ammetteva il ricorso per la mancata valutazione delle cause di assoluzione, è da considerarsi superata. La volontà del legislatore del 2017 è stata quella di limitare drasticamente le possibilità di impugnazione delle sentenze di patteggiamento per garantire una maggiore stabilità a questo rito alternativo e deflattivo.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Suprema Corte è netta e si basa su due pilastri fondamentali.
In primo luogo, il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione. L’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. non è una norma interpretabile estensivamente; elenca in modo chiuso e specifico i vizi che possono essere dedotti. Lamentare che il giudice non abbia esplorato a fondo le possibilità di un proscioglimento non rientra in questo elenco. Accettare un simile motivo significherebbe aggirare la volontà del legislatore di limitare l’accesso al giudizio di legittimità per le sentenze di patteggiamento.
In secondo luogo, la Corte ha specificato che la giurisprudenza invocata dal ricorrente era obsoleta, in quanto formatasi prima dell’entrata in vigore della legge n. 103/2017. Le nuove disposizioni hanno creato uno spartiacque, rendendo irrilevanti le interpretazioni precedenti che consentivano un controllo più ampio sulla sentenza di patteggiamento.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza della Cassazione conferma che la scelta del patteggiamento comporta una significativa rinuncia al diritto di impugnazione. Chi accede a questo rito deve essere consapevole che le possibilità di contestare la sentenza in Cassazione sono estremamente circoscritte. La decisione rafforza la stabilità delle sentenze emesse ex art. 444 c.p.p. e l’efficienza del sistema giudiziario, evitando ricorsi basati su motivi non espressamente previsti dalla legge. Per la difesa, ciò implica la necessità di una valutazione ancora più attenta e ponderata prima di intraprendere la strada dell’accordo sulla pena, poiché le vie d’uscita successive sono poche e ben definite.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’impugnazione è consentita solo per i motivi tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 103 del 2017.
Perché la mancata verifica delle cause di proscioglimento non è un motivo valido per il ricorso?
Perché questo specifico vizio non è incluso nell’elenco tassativo dei motivi di ricorso previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La legge limita espressamente le ragioni per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento, e questa non è una di esse.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte di Cassazione non esamina il merito del ricorso. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 830 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 830 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Albania il 27/04/1993
avverso la sentenza del 18/04/2023 emessa dal Tribunale di Parma;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che il ricorso, proposto avverso sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano perché i motivi proposti non sono consentiti in relazione a tale tipologia di sentenza. In riferiment pronunce di “patteggiamento”, è, invero, inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglim ex art. 129 cod. proc. pen., atteso che, a seguito delle modifiche effettuate dalla legge n. del 2017, l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., limita l’impugnabilità della pronuncia alle ipotesi in esso tassativamente indicate (Sez. 6, Sentenza n. 1032 del 07/11/2019, COGNOME, Rv 278337), tra le quali non rientra il vizio di violazione di legge per la mancata ve dell’insussistenza di cause di proscioglimento (ex multis, Sez. F., ord. n. 28742 del 25/08/2020,
Massnaoui COGNOME Rv. 279761 – 01); peraltro, la giurisprudenza di legittimità invocata dal ricorrente, che a certe condizioni consentiva il ricorso per cassazione per la mancata valutazion di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., è tutta precedente all’interv della cit. I.n. n. 103 e dunque non rilevante rispetto alla pronuncia impugnata.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, giudicata congrua in riferimento alla causa di inammissibilità, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 novembre 2023
Il Consigliere est NOME