Ricorso Patteggiamento: i Rigidi Confini Fissati dalla Cassazione
Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate della procedura penale, poiché bilancia l’efficienza processuale con il diritto di difesa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 814 del 2024, ci offre l’occasione per analizzare i limiti stringenti imposti dalla legge per impugnare una sentenza emessa a seguito di accordo tra le parti. La decisione sottolinea come non ogni doglianza possa aprire le porte del giudizio di legittimità, delineando un perimetro ben definito che l’appellante è tenuto a rispettare.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Verona. L’imputato aveva concordato una pena in relazione a determinati reati contestati. Successivamente, decideva di impugnare tale sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando diverse censure.
L’Impugnazione e i Motivi del Ricorso Patteggiamento
La difesa dell’imputato lamentava una presunta violazione di legge, un vizio di motivazione riguardo alla determinazione della pena e, soprattutto, un’erronea qualificazione giuridica del fatto. Tali motivi, tuttavia, sono stati valutati dalla Suprema Corte come generici e, in gran parte, non rientranti tra quelli ammessi per contestare una sentenza di patteggiamento.
La legge, in particolare l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale (introdotto con la riforma del 2017), stabilisce un elenco tassativo di motivi per cui è possibile presentare ricorso. Essi includono:
1. Problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Le critiche mosse dall’imputato, come l’eccessività della pena o vizi motivazionali, esulano da questo elenco.
L’Analisi della Corte e i Limiti al Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso patteggiamento inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti dell’impugnazione.
La Genericità della Censura sull’Erronea Qualificazione
Il punto centrale della decisione riguarda il motivo dell’erronea qualificazione giuridica. I giudici hanno specificato che, per essere ammissibile, questa censura deve denunciare un errore “manifesto”. In altre parole, la qualificazione giuridica data dal giudice di merito deve essere “palesemente eccentrica” rispetto al fatto descritto nel capo d’imputazione. L’errore deve essere così evidente da poter essere colto con “indiscussa immediatezza” e senza margini di opinabilità.
Nel caso di specie, la difesa si era limitata a denunciare genericamente l’errore, senza nemmeno specificare a quale dei reati contestati si riferisse. Inoltre, la Corte ha evidenziato come la difesa avesse addirittura prestato il proprio consenso alla riqualificazione di uno dei capi di imputazione durante il giudizio di merito, rendendo la successiva contestazione contraddittoria.
Le Altre Censure e la Decisione Finale
Anche le altre lamentele sono state respinte. La critica sulla mancata ponderazione di eventuali cause di non punibilità è stata giudicata infondata, in quanto il giudice di merito le aveva escluse dopo una puntuale analisi delle prove. Le doglianze sull’entità della pena e sui vizi di motivazione sono state considerate, come detto, estranee ai motivi ammessi dalla legge.
Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. L’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro alla Cassa delle ammende, come previsto in caso di inammissibilità.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione rigorosa dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La norma è stata introdotta per deflazionare il carico della Corte di Cassazione, evitando ricorsi pretestuosi o dilatori contro sentenze che nascono da un accordo tra accusa e difesa. Se le parti concordano sulla pena, si presume che abbiano accettato anche la qualificazione giuridica del fatto e le altre valutazioni del giudice, salvo errori macroscopici o violazioni di legge palesi. Permettere censure generiche o relative al merito della decisione (come l’eccessività della pena) snaturerebbe la funzione stessa del patteggiamento e del giudizio di legittimità.
Le conclusioni
Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato: l’accesso al giudizio di Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento è un’eccezione, non la regola. Per avere successo, un ricorso patteggiamento deve essere fondato su motivi specifici, chiari e riconducibili a un errore giuridico manifesto e immediatamente percepibile. Le censure generiche, esplorative o che attengono alla valutazione discrezionale del giudice sono destinate all’inammissibilità, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita la possibilità di ricorso a specifici e tassativi motivi, escludendo censure di carattere generale o relative al merito della decisione.
Quali sono i motivi validi per un ricorso patteggiamento in Cassazione?
I motivi ammessi sono esclusivamente quelli attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa si intende per “erronea qualificazione giuridica del fatto” come valido motivo di ricorso?
Si intende un errore manifesto, che sia palesemente eccentrico rispetto al contenuto del capo di imputazione. L’errore deve essere immediatamente evidente, senza margini di opinabilità e non deve richiedere una complessa rilettura degli atti processuali. Una denuncia generica e non specifica è inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 814 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 814 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/10/2023
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME ( CUI 061702 ) nato il 01/10/1998
avverso la sentenza del 23/06/2023 del TRIBUNALE di VERONA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Nell’interesse di NOME COGNOME viene proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale il Tribunale di Verona ha applicato all’imputato la pena concordata in relazione ai reati contestati.
Le censure, che lamentano violazione di legge in relazione all’art. 129 del codice di rito, vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena, nonché erronea qualificazione giuridica del fatto contestato, oltre che del tutto genericamente formulate, sono inammissibili. Esse si collocano, infatti, al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., come introdotto dalla legge n. 103 del 2017, secondo cui il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento è proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Esclusa l’illegalità della pena, peraltro neppur dedotta, in quanto si prospettano l’eccessività della stessa e vizi motivazionali, si osserva che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, sicché è inammissibile l’impugnazione che denunci, in modo aspecifico e non autosufficiente, una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza. (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, COGNOME, Rv. 283023 – 01). Nel ricorso in esame, la difesa si è limitata a dedurre genericamente e aspecificamente la “erronea qualificazione giuridica del fatto contestato” evitando finanche di indicare a quale degli ascritti reati si riferisca la censura; peraltro, nell’impugnata sentenza è fatto esplicito riferimento al consenso prestato dalla difesa alla riqualificazione di uno dei reati (di cui al capo a). Quanto alla censura vertente sulla mancata ponderazione di eventuali cause di non punibilità, si osserva che il Giudice ne ha escluso la ricorrenza sulla base di una puntuale disamina delle risultanze istruttorie.
Ne consegue, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., e che il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 11 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
Il residente