Ricorso Patteggiamento: I Limiti Imposti dalla Legge
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro sistema processuale penale che consente di definire il processo in modo rapido. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta delle significative limitazioni sulle possibilità di impugnazione. Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui precisi e invalicabili confini del ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi possano essere validamente presentati e quali, invece, conducano a una declaratoria di inammissibilità con conseguenze economiche per il ricorrente.
I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento all’Appello
Il caso trae origine da una sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Mantova, con la quale un imputato, a seguito di un accordo con il Pubblico Ministero, otteneva l’applicazione di una pena di due anni e otto mesi di reclusione e 1.000,00 euro di multa per reati contro il patrimonio. La pena detentiva veniva poi sostituita con la detenzione domiciliare.
Nonostante l’accordo, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso era uno solo: la presunta violazione di una norma processuale. In particolare, si lamentava che il giudice di primo grado non avesse motivato a sufficienza l’esclusione delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., sostenendo che non vi fosse una prova univoca della responsabilità penale dell’imputato.
L’Analisi del Ricorso Patteggiamento da Parte della Cassazione
La difesa ha tentato di scardinare la sentenza di patteggiamento basandosi su un presupposto: il giudice, prima di ratificare l’accordo tra le parti, deve sempre verificare che non esistano i presupposti per un’assoluzione. Secondo il ricorrente, questa verifica era mancata o, quantomeno, non era stata adeguatamente motivata in sentenza. Di conseguenza, si chiedeva l’annullamento della pronuncia per un vizio procedurale.
La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, dichiarandolo inammissibile sulla base di una precisa modifica legislativa che ha cambiato radicalmente le regole del gioco per il ricorso patteggiamento.
Le Motivazioni della Decisione: L’Impatto della Riforma del 2017
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’interpretazione dell’attuale quadro normativo, modificato dalla Legge n. 103 del 23 giugno 2017. A far data dal 3 agosto 2017, questa legge ha introdotto una limitazione tassativa ai motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento.
La Corte ha ricordato che, oggi, il ricorso è consentito esclusivamente per i seguenti motivi:
1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza emessa.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Il motivo sollevato dalla difesa, ovvero la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., non rientra in questo elenco. Pertanto, la Corte ha concluso che il ricorso era stato proposto per una ragione non più ammessa dalla legge. Di conseguenza, l’impugnazione è stata dichiarata inammissibile senza nemmeno entrare nel merito della questione sollevata.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche dell’Inammissibilità
La decisione della Corte di Cassazione non è solo una formalità processuale, ma ha importanti implicazioni pratiche. La declaratoria di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica che implica la rinuncia a far valere determinate difese nel merito. Una volta concluso l’accordo, le vie di impugnazione sono estremamente limitate e circoscritte ai soli vizi formali e sostanziali espressamente previsti dalla legge. Proporre un ricorso patteggiamento per motivi diversi da quelli consentiti non solo è inutile, ma espone a sicure sanzioni economiche.
È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato?
No. A seguito della riforma legislativa del 2017, la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. non costituisce più un motivo valido per presentare ricorso per cassazione contro una sentenza emessa a seguito di patteggiamento.
Quali sono i motivi validi per impugnare una sentenza di patteggiamento in Cassazione?
La legge consente il ricorso solo per motivi specifici, ovvero per vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, per difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, per un’errata qualificazione giuridica del fatto oppure per l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se si presenta un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Questa decisione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, nel caso specifico di 4.000,00 euro, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33304 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33304 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CREMONA il 04/01/1976
avverso la sentenza del 17/12/2024 del GIP TRIBUNALE di Mantova Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Mantova , con sentenza del 17 dicembre 2024, applicava a COGNOME NOME, su concorde richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., la pena di anni due e mesi ott reclusione ed euro 1.000,00 di multa per il reato di cui agli artt. 110, 624-bis, 625 nn. 2 61 n. 5 c.p., sostituita con la detenzione domiciliare ex art. 56 I. 689/1981.
Avverso tale pronuncia la difesa dell’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo quale unico motivo l’inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità, con particolare riferimento all’omessa declaratoria di una causa di non punibilità ex art. 1 c.p.p. Il ricorrente lamenta l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla rite insussistenza delle cause di proscioglimento, limitandosi il giudice a dare atto genericamente della loro esclusione, senza considerare che dagli atti non risulterebbe univocamente provata la penale responsabilità dell’imputato, con specifico riguardo al suo coinvolgimento nell’attiv illecita.
Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
A far tempo dal 3 agosto 2017, per effetto dell’art. 1, comma 51, della I. 23 giugno 2017 n. 103, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro l sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. c.p.p. “solo per motivi attin all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richies sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della mis sicurezza”.
Non rientra più, pertanto, tra i motivi di ricorribilità per cassazione quello attinent mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., come dedotto nel caso in esame.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186/2000), al versamento della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna llo ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 settembre 2025
Il consigliere estensore
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