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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento presentato da due imputati. La decisione si fonda sulla tassatività dei motivi di impugnazione previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., che non includono il vizio di motivazione relativo agli aumenti di pena per la continuazione, come invece sollevato dai ricorrenti. La Corte ha quindi condannato gli imputati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile? La Sentenza della Cassazione

Il ricorso patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale dai confini ben delineati. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i limiti entro cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere quando un’impugnazione rischia di essere dichiarata inammissibile, con le relative conseguenze economiche per i ricorrenti.

I Fatti di Causa

Due imputati, dopo aver concordato una pena con il pubblico ministero nell’ambito di un procedimento per patteggiamento dinanzi al Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Rimini, decidevano di presentare ricorso per Cassazione. La loro doglianza si concentrava su un presunto vizio di motivazione della sentenza: a loro dire, il giudice di merito non aveva adeguatamente giustificato gli aumenti di pena disposti per i reati contestati in continuazione.

I Limiti del Ricorso Patteggiamento e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su una lettura rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come modificato dalla Legge n. 103/2017. Questa norma ha introdotto una limitazione tassativa ai motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

I giudici hanno chiarito che un vizio di motivazione, come quello lamentato dai ricorrenti in merito al calcolo della pena per la continuazione, non rientra nell’elenco dei motivi ammessi. Di conseguenza, il ricorso non poteva essere esaminato nel merito. Oltre a dichiarare l’inammissibilità, la Corte ha condannato entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma di quattromila euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della pronuncia risiede nell’interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La norma stabilisce che il ricorso patteggiamento può essere proposto esclusivamente per i seguenti motivi:

1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione tra accusa e sentenza: quando la sentenza condanna per un fatto diverso da quello contestato nell’imputazione.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il giudice ha inquadrato il reato in una fattispecie normativa sbagliata.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: qualora la sanzione inflitta sia contraria alla legge (es. superiore ai massimi edittali) o non prevista per quel tipo di reato.

La Corte Suprema ha sottolineato che la censura mossa dai ricorrenti, relativa alla presunta carenza di motivazione sugli aumenti di pena, non rientra in nessuna di queste quattro categorie. Si tratta di una critica al percorso logico-argomentativo del giudice, che non si traduce né in un’errata qualificazione del fatto né in un’illegalità della pena. Pertanto, il ricorso è stato ritenuto inammissibile a priori.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia a far valere determinate doglianze in sede di impugnazione. L’imputato che accede a questo rito speciale accetta la pena concordata e può contestarla solo per vizi specifici e gravi, che incidono sulla legalità della decisione o sulla libertà del consenso. Non è possibile, invece, utilizzare il ricorso per Cassazione come un terzo grado di giudizio per ridiscutere la congruità della pena o la completezza della motivazione del giudice di merito. La decisione serve da monito: prima di presentare un ricorso patteggiamento, è essenziale verificare che i motivi rientrino nel perimetro tassativamente tracciato dalla legge, per evitare una declaratoria di inammissibilità e le conseguenti sanzioni economiche.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è consentita solo per i motivi specifici e tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi validi per presentare un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi dalla legge sono quattro: vizi nell’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra l’accusa contestata e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Un presunto errore nella motivazione sull’aumento della pena è un motivo valido per il ricorso patteggiamento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un vizio di motivazione che non si traduca in una pena illegale (cioè contraria alla legge) non rientra tra i motivi tassativi previsti per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento e, pertanto, rende il ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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