Ricorso Patteggiamento: Quando è Possibile Contestare la Sentenza?
Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate della procedura penale, specialmente dopo le modifiche legislative che ne hanno limitato l’accesso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui confini dell’impugnazione di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, soffermandosi in particolare sul motivo legato all’errata qualificazione giuridica del fatto. Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguarda un imputato che, dopo aver concordato la pena, ha tentato di rimettere in discussione la natura del reato contestato attraverso un ricorso per Cassazione. La decisione dei giudici supremi ribadisce la rigidità dei presupposti di ammissibilità, tracciando una linea netta tra un errore palese e una mera divergenza interpretativa.
I Fatti del Caso: dal Patteggiamento all’Impugnazione
La vicenda processuale ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale. L’imputato, dopo aver raggiunto un accordo con la pubblica accusa sulla pena da applicare, ha successivamente deciso di impugnare tale sentenza davanti alla Corte di Cassazione. I motivi del ricorso si basavano su un presunto vizio di motivazione relativo a due aspetti cruciali: l’errata qualificazione giuridica del fatto e, in subordine, la richiesta di assoluzione per insussistenza del fatto stesso.
La Decisione della Corte sul ricorso patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure entrare nel merito delle doglianze. La decisione si fonda su una precisa norma procedurale: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla cosiddetta Riforma Orlando (legge n. 103/2017). Questa disposizione limita drasticamente i motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento in Cassazione. I motivi ammessi sono esclusivamente:
* Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato libero e consapevole).
* Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Qualsiasi motivo al di fuori di questo elenco non può essere esaminato dalla Corte, rendendo il ricorso inammissibile.
Le Motivazioni: la Nozione di ‘Errore Manifesto’
Il punto centrale della motivazione della Corte riguarda l’interpretazione del motivo relativo all'”erronea qualificazione giuridica del fatto”. I giudici hanno chiarito che non è sufficiente lamentare una generica errata classificazione del reato. Per poter essere accolto, il ricorso deve denunciare un errore manifesto.
Secondo la giurisprudenza consolidata, un errore è manifesto quando la qualificazione giuridica adottata dal giudice risulta, con “indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione”. In altre parole, l’errore deve essere così evidente da saltare all’occhio dalla semplice lettura degli atti, senza la necessità di complesse analisi o interpretazioni alternative. Nel caso di specie, il ricorso è stato giudicato generico e non autosufficiente, poiché non indicava un errore di tale palese natura.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
L’ordinanza in esame conferma il consolidato orientamento della Cassazione volto a preservare la stabilità delle sentenze di patteggiamento, che sono frutto di un accordo tra le parti. La possibilità di rimettere in discussione l’accordo è un’eccezione, non la regola, e può avvenire solo in presenza di vizi gravi e palesi. Per la difesa, ciò significa che la valutazione sulla corretta qualificazione giuridica del fatto deve essere compiuta con la massima attenzione prima di accedere al rito speciale. Una volta siglato l’accordo e ratificato dal giudice, gli spazi per un ripensamento sono estremamente ridotti e legati non a una diversa valutazione giuridica, ma alla denuncia di un errore macroscopico e inequivocabile.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita il ricorso a specifici motivi, tra cui vizi della volontà, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto e illegalità della pena.
Cosa si intende per ‘errore manifesto’ nella qualificazione giuridica del fatto?
Per ‘errore manifesto’ si intende un errore palese, indiscutibile e immediatamente evidente dalla lettura degli atti. La qualificazione giuridica deve apparire ‘palesemente eccentrica’ rispetto ai fatti contestati, senza che vi siano margini di opinabilità o necessità di complesse argomentazioni.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso viene dichiarato inammissibile per motivi non consentiti e non si ravvisa un’assenza di colpa da parte del ricorrente, quest’ultimo viene condannato, secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23016 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23016 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 13/04/1997
avverso la sentenza del 08/01/2025 del GIP TRIBUNALE di COGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha presentato ricorso avverso la sentenza con la quale il Gip del Tribunale di Busto Arsizio ha applicato nei suoi confronti la pena richiesta ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen. deducendo lil vizio di motivazione con riferimento alla errata qualificazione giuridica del fatto ovvero per mancata assoluzione perché il fatto non sussiste.
Il ricorso è inammissibile per cause che possono essere dichiarate senza formalità ai sensi dell’art. 610, co. 5 bis, cod. proc. pen. in quanto basato su motivo non proponibile in sede di legittimità.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso proposto dall’imputato, va premesso che, trattandosi di sentenza che ha ratificato l’accordo proposto successivamente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 50, legge n. 103 del 2017, trova applicazione il comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen. che limita il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di patteggiannento ai soli casi in esso previsti («motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza»).
In particolare, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, sicché è inammissibile l’impugnazione che denunci, in modo aspecifico e non autosufficiente, una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, NOME, Rv. 283023).
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 10 giugno 2025
La Confliliera est.
NOME
Arena
La Presidente
Dohatella Fe