Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18691 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18691 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a ACIREALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/09/2023 del TRIBUNALE di CATANIA
dato GLYPH avviso alles3;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 settembre 2023 il Tribunale di Catania ha applicato a NOME COGNOME, su richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di mesi dieci di reclusione ed C 1.000 di multa, con confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale sentenza – allegando vizio di legittimità – è stato proposto ricorso per cassazione, in forza del quale è stata censurata l’omessa motivazione con riguardo alla ritenuta non applicabilità dell’art. 129 cod. proc. pen..
CONSIDERATO IN IDIRITTO
Il ricorso (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile.
Deve invero rammentarsi che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. – disposizione intródotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 – il Pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per c:assazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
In relazione al proposto generico motivo di censura, è nozione consolidata che l’applicazione concordata della pena postula la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiannento ed al consenso ad essa prestato (ex multis, Sez. 5, n. 2525 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269072; Sez. 4, n. 8531 del 17/02/2022, COGNOME, Rv. 282761).
Va altresì ricordato che il giudice, nel pronunciare sentenza di patteggiamento, resta sempre tenuto ad accertare l’insussistenza delle cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., ma l’eventuale vizio non è più censurabile con il ricorso per cassazione, nel chiaro intento del legislatore della novella di evitare ogni scrutinio della motivazione sulla colpevolezza valorizzando, per converso, il consenso prestato dall’imputato, rispetto al quale si apprezza come superfluo e contraddittorio un motivo di impugnazione sullo svolgimento dei fatti (ex multis, ad es. Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014; Sez. F, n. 28742 del 25/08/2020, Messnaoui, Rv. 279761).
Non può quindi che concludersi, data la manifesta infondatezza delle doglianze, nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024.