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Ricorso Patteggiamento: limiti di ammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso per patteggiamento avanzato da due imputati. La decisione si fonda sull’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., che impedisce di impugnare la sentenza di patteggiamento lamentando la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento. I ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile l’Appello in Cassazione?

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo e ottenuta la sentenza, le possibilità di impugnazione sono limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i confini invalicabili del ricorso per patteggiamento, chiarendo quando questo non può essere nemmeno esaminato nel merito. L’analisi della pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere la logica deflattiva e di stabilità che il legislatore ha voluto imprimere a questo rito speciale.

I Fatti del Caso

Due imputati, dopo aver concordato la pena con il Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, ottenevano dal Giudice per le indagini preliminari di Milano la relativa sentenza di applicazione. Non soddisfatti dell’esito, i difensori di entrambi decidevano di proporre ricorso per cassazione. Le doglianze erano distinte: per un imputato si contestava un vizio di motivazione relativo al trattamento sanzionatorio, mentre per l’altro si metteva in discussione la stessa affermazione di responsabilità, invocando una violazione di legge con riferimento all’art. 129 del codice di procedura penale, che impone al giudice l’obbligo di prosciogliere l’imputato in presenza di determinate condizioni.

I Limiti del Ricorso Patteggiamento

La difesa ha tentato di scardinare la sentenza di patteggiamento sostenendo, in sostanza, che il giudice di merito avesse errato nel non rilevare la sussistenza delle condizioni per un proscioglimento immediato. Questa strategia si scontra però con una barriera normativa ben precisa, introdotta con la riforma del 2017.

L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce infatti che il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è inammissibile se si fonda sull’omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per pronunciare una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. Si tratta di un limite esplicito, voluto dal legislatore per evitare che l’accordo tra le parti venga messo in discussione con argomenti che avrebbero dovuto essere valutati prima di accedere al rito speciale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte Suprema, con la sua ordinanza, ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili senza neanche entrare nel merito delle questioni sollevate. La motivazione è netta e si basa sull’applicazione diretta del citato art. 448, comma 2-bis. I giudici hanno sottolineato come i ricorsi non superassero la soglia di ammissibilità proprio perché non si confrontavano con la consolidata giurisprudenza formatasi su questa norma.

Secondo la Corte, la legge è chiara: non si può utilizzare il ricorso per cassazione come un terzo grado di giudizio per lamentare che il giudice del patteggiamento avrebbe dovuto assolvere l’imputato. La scelta di patteggiare implica una rinuncia a far valere determinate difese nel merito. Consentire un’impugnazione su questi presupposti svuoterebbe di significato l’istituto stesso del patteggiamento. La Corte ha quindi provveduto a dichiarare l’inammissibilità “de plano”, cioè senza udienza, confermando un orientamento ormai granitico.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La decisione in esame ha importanti conseguenze pratiche. Per gli imputati e i loro difensori, emerge con chiarezza che la scelta di accedere al patteggiamento è una decisione strategica quasi irreversibile. Una volta emessa la sentenza, gli spazi per l’impugnazione sono estremamente ridotti e non possono riguardare la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. Tentare un ricorso su queste basi non solo è inutile, ma è anche controproducente: l’inammissibilità, come nel caso di specie, comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende (in questo caso, tremila euro), aggravando la posizione economica del ricorrente. Questa pronuncia consolida la finalità della norma: garantire la stabilità delle sentenze di patteggiamento e scoraggiare ricorsi puramente dilatori.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato?
No. La Corte di Cassazione, applicando l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, ha stabilito che è inammissibile il ricorso contro la sentenza di patteggiamento con cui si lamenti l’omessa valutazione delle condizioni per un proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

Qual è la conseguenza di un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro, determinata equitativamente dal giudice, in favore della Cassa delle ammende.

Perché la legge pone limiti così stringenti al ricorso contro il patteggiamento?
La norma è stata introdotta per dare maggiore stabilità e definitività alle sentenze emesse a seguito di un accordo tra le parti. L’obiettivo è quello di evitare ricorsi pretestuosi o dilatori, che rimetterebbero in discussione un esito processuale che l’imputato stesso ha contribuito a determinare con la sua richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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