Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso e Quando è Inutile?
Il ricorso patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale dai confini ben definiti, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione. La decisione analizza il caso di un imputato che, dopo aver concordato la pena per reati legati agli stupefacenti, ha tentato di impugnare la sentenza lamentando la mancata applicazione delle cause di non punibilità. La Corte ha però dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo un’importante lezione sui limiti di questo strumento.
I Fatti del Caso
Un individuo veniva condannato dal Giudice per le Udienze Preliminari a una pena di quattro anni e sei mesi di reclusione, oltre a una multa di 17.500,00 euro, in seguito a un accordo sulla pena (patteggiamento) per reati in materia di sostanze stupefacenti.
Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione. Il motivo del ricorso era uno solo: la violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo alla mancata esclusione delle cause di non punibilità, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.
La Decisione della Corte di Cassazione e il ricorso patteggiamento
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile ‘senza formalità’. La ragione di questa decisione risiede nella natura stessa del ricorso patteggiamento e nei limiti imposti dalla normativa vigente, in particolare dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Secondo la Corte, il motivo addotto dal ricorrente non rientrava in nessuna delle categorie per le quali la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento. Di conseguenza, il ricorso è stato considerato proposto per un motivo non consentito, portando a una declaratoria di inammissibilità.
Le Motivazioni
Il cuore della motivazione della Suprema Corte si basa sull’interpretazione restrittiva dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., introdotto con la riforma del 2017. Questa norma elenca tassativamente i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza emessa a seguito di patteggiamento. Essi sono:
1. Vizi nella formazione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso all’accordo non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha emesso una decisione che non corrisponde a quanto concordato tra le parti.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo errato dal punto di vista legale.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione è contraria alla legge per tipo o misura.
La doglianza del ricorrente, relativa alla mancata valutazione di una possibile causa di non punibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p., non rientra in alcuno di questi punti. La scelta di accedere al patteggiamento implica una rinuncia a contestare nel merito l’accusa, focalizzando l’eventuale impugnazione solo su specifici vizi procedurali e giuridici. La Corte ha quindi ribadito che il ricorso non può diventare uno strumento per rimettere in discussione il merito della vicenda processuale, che si è chiusa proprio con l’accordo tra accusa e difesa.
Le Conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo che, una vezzato, acquisisce una notevole stabilità. Le possibilità di impugnazione sono estremamente limitate e circoscritte a vizi ben precisi, escludendo contestazioni di merito. Per gli operatori del diritto e per gli imputati, ciò significa che la decisione di patteggiare deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché le vie per un ripensamento successivo sono quasi del tutto precluse. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende serve da monito sulla serietà dell’impegno assunto con il patteggiamento e sull’inutilità di ricorsi basati su motivi non previsti dalla legge.
È possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento?
No, una sentenza di patteggiamento non è appellabile. È possibile presentare solo ricorso per cassazione, ma per un numero molto limitato di motivi stabiliti dalla legge.
Quali sono i motivi per cui si può fare ricorso contro un patteggiamento?
I motivi sono tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. e riguardano: l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Contestare la mancata applicazione delle cause di non punibilità (art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per il ricorso contro un patteggiamento?
No, secondo la decisione in esame, questo motivo non rientra tra quelli consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento e, pertanto, il ricorso basato su tale doglianza viene dichiarato inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37995 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37995 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/01/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di SANTA MARIA CAPUA VETERE
dato av so alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 24 gennaio 2024 il G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a NOME – per quanto di interesse in questa sede – la pena di anni quattro, mesi sei di reclusione ed euro 17.500,00 di multa in ordine a reati in materia di sostanze stupefacenti.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle ragioni di esclusione delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inarnmissibile, in quanto proposto con motivo non consentito.
La dedotta censura, infatti, non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ai sensi di quanto disposto dall’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2024
Il Consigliere estensore