Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso l’Appello in Cassazione?
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle scelte processuali più significative per un imputato. Tuttavia, una volta intrapresa questa strada, le possibilità di rimettere in discussione la sentenza sono estremamente limitate. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito ulteriormente i rigidi confini del ricorso patteggiamento, soprattutto dopo le modifiche introdotte all’articolo 448 del codice di procedura penale. Analizziamo questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Nel caso in esame, il Giudice per le Indagini Preliminari (Gip) del Tribunale di Ravenna aveva applicato a un imputato, su concorde richiesta delle parti, una pena di due anni di reclusione e 600 euro di multa. La pena era relativa a una serie di reati, tra cui rapina, lesioni aggravate e furto, uniti dal vincolo della continuazione e con la concessione di attenuanti. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per Cassazione.
I Motivi del Ricorso e la Riforma dell’Art. 448 c.p.p.
Il difensore ha basato l’impugnazione su due motivi principali:
1. L’erronea qualificazione giuridica di uno dei reati contestati.
2. La sussistenza di cause di proscioglimento che il giudice di merito non avrebbe considerato.
Entrambi i motivi si scontrano con la nuova formulazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che ha drasticamente ristretto l’ambito del ricorso patteggiamento. Questa norma stabilisce che il ricorso è consentito solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti fondamentali sull’interpretazione della normativa.
Per quanto riguarda il primo motivo, relativo all’erronea qualificazione giuridica, i giudici hanno specificato che il ricorso è ammissibile solo quando tale qualificazione risulti “palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione”. In altre parole, l’errore deve essere macroscopico e immediatamente evidente dalla sola lettura degli atti, senza la necessità di addentrarsi in complesse analisi di fatto o di prove che non sono proprie del giudizio di legittimità. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che le condizioni per un errore così palese non sussistessero.
Sul secondo motivo, relativo alla sussistenza di cause di proscioglimento, la Corte è stata ancora più netta. Ha affermato che tale motivo “non è consentito, non rientrando nel novero dei vizi deducibili in sede di legittimità” contro una sentenza di patteggiamento. La riforma ha escluso esplicitamente questa possibilità, rendendo la scelta del patteggiamento di fatto incompatibile con una successiva contestazione basata sulla potenziale innocenza dell’imputato.
Le conclusioni
La decisione della Cassazione rafforza un principio cardine della procedura penale post-riforma: la scelta del patteggiamento è una decisione processuale quasi tombale. L’imputato, accettando la pena concordata, rinuncia in larga parte al diritto di impugnazione, salvo che per vizi formali o errori giuridici di eccezionale e manifesta gravità. Questa pronuncia serve da monito per la difesa: la valutazione sull’opportunità di accedere a un rito alternativo come il patteggiamento deve essere estremamente ponderata, poiché le vie d’uscita successive sono quasi del tutto precluse. La sentenza di patteggiamento, una volta emessa, acquisisce una stabilità che solo in casi rarissimi può essere messa in discussione davanti alla Corte di Cassazione.
È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento per un’erronea qualificazione giuridica del reato?
Sì, ma solo in casi molto limitati. Il ricorso è ammesso unicamente quando la qualificazione giuridica data dal giudice è palesemente ed immediatamente eccentrica, ovvero del tutto slegata e illogica, rispetto al fatto descritto nel capo di imputazione, senza che sia necessario esaminare elementi di fatto o probatori.
Si può impugnare una sentenza di patteggiamento sostenendo che esistevano delle cause di proscioglimento (es. l’imputato era innocente)?
No. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale esclude esplicitamente che si possa presentare ricorso per Cassazione contro una sentenza di patteggiamento lamentando la mancata applicazione di una causa di proscioglimento.
Cosa succede se il ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle Ammende. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15444 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15444 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/03/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME n. in Tunisia il 3/7/1981 -sentita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
avverso la sentenza resa dal Gip del Tribunale di Ravenna in data 21/6/2018
FATTO E DIRITTO
1.Con l’impugnata sentenza il Gip del Tribunale di Ravenna, su concorde richiesta delle part applicava alli imputato, esclusa la recidiva, concesse le attenuanti generiche e del risarcim del danno, ritenuta la continuazione, la pena di anni due di reclusione ed euro 600,00 di mu in relazione ai delitti di rapina, lesioni aggravate e furto in rubrica ascrittigli.
2.Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, il quale ha dedotto il vizio motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del reato sub a) e alla sussistenza di cau proscioglimento.
3. Il ricorso è inammissibile. Quanto al primo motivo deve rilevarsi che in tem patteggiamento, anche a seguito dell’introduzione dell’art.448, comma 2-bis, cod. proc. pen., possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fa limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palese eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo escludersi l’ammissibil dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspet
in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (Sez. 6, n. 3108 08/01/2018, COGNOME, Rv. 272252; n. 2721 del 08/01/2018, COGNOME, Rv. 272026; nel senso dell’inammissibilità di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti da provvedimento impugnato anche Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272619). Le condizioni richiamate non appaiono ricorrenti nella specie, alla luce del tenore dell’addeb dei rilievi svolti dal ricorrente.
Il secondo motivo non è consentito, non rientrando nel novero dei vizi deducibili in sed legittimità nella vigenza del riformulato art. 448, comma 2bis, cod.proc.pen.
4.Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento dell spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragio d’esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 15 marzo 2019