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Ricorso patteggiamento inammissibile: limiti e motivi

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso patteggiamento inammissibile, poiché i motivi, relativi alla quantificazione della pena e alle attenuanti generiche, non rientravano tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha ribadito che, a seguito della riforma del 2017, l’impugnazione è limitata a specifici vizi di legalità, escludendo censure sulla congruità della sanzione concordata tra le parti.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento Inammissibile: la Cassazione Fissa i Paletti

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento. La pronuncia chiarisce che un ricorso patteggiamento inammissibile è la conseguenza inevitabile quando le censure proposte non rientrano nel novero tassativo dei motivi previsti dalla legge. Analizziamo questa importante decisione per comprendere i limiti imposti dalla riforma del 2017.

I Fatti del Caso

Un imputato, a seguito di un accordo con la pubblica accusa per reati in materia di stupefacenti, armi e ricettazione, otteneva dal Tribunale una sentenza di applicazione della pena su richiesta (il cosiddetto patteggiamento). Non soddisfatto dell’esito, decideva di presentare ricorso per cassazione tramite il suo difensore di fiducia.

I Motivi del Ricorso: Pena e Attenuanti nel Mirino

La difesa lamentava vizi di motivazione della sentenza impugnata, concentrandosi su due aspetti principali:

1. Il trattamento sanzionatorio: si contestava la congruità della pena applicata, ritenuta eccessiva.
2. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: si doleva della scelta del giudice di non concedere lo sconto di pena previsto per tali circostanze.

In sostanza, il ricorso mirava a una rivalutazione nel merito delle scelte sanzionatorie che erano state, di fatto, oggetto dell’accordo tra le parti e recepite dal giudice di primo grado.

Limiti all’Impugnazione e il Ruolo della Riforma

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile, utilizzando la procedura semplificata de plano, ovvero senza fissare un’udienza. La ragione di tale decisione risiede nelle modifiche introdotte al codice di procedura penale dalla legge n. 103 del 2017 (nota come Riforma Orlando).

L’art. 448, comma 2-bis, del codice di rito, introdotto da tale riforma, stabilisce un elenco chiuso e tassativo di motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Questi includono:

* Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Come evidenziato dai giudici, le censure sollevate dalla difesa non rientravano in nessuna di queste categorie. Pertanto, il ricorso patteggiamento inammissibile era l’unica conclusione possibile.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha spiegato che le lamentele relative alla quantificazione della pena o alla mancata concessione delle attenuanti generiche attengono al merito della decisione e sono estranee al perimetro del controllo di legittimità consentito per le sentenze di patteggiamento. L’accordo processuale tra accusa e difesa cristallizza la pena, e il controllo successivo della Cassazione non può rimettere in discussione tale accordo, se non per i vizi di legalità espressamente previsti dalla norma.

La Corte ha richiamato un proprio precedente (Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018), confermando un orientamento ormai consolidato. La ratio della riforma del 2017 è proprio quella di deflazionare il carico della Cassazione, impedendo ricorsi pretestuosi o dilatori che contestino il cuore stesso del patto processuale liberamente sottoscritto.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale della procedura penale post-riforma: chi sceglie la via del patteggiamento accetta la pena concordata, e le possibilità di contestarla in seguito sono estremamente limitate. L’impugnazione è un rimedio eccezionale, riservato a sanare errori giuridici macroscopici e non a rinegoziare l’entità della sanzione. La conseguenza dell’inammissibilità del ricorso è stata, per l’imputato, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma in favore della Cassa delle ammende, a testimonianza della serietà con cui l’ordinamento sanziona l’abuso dello strumento processuale.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento lamentando che la pena concordata è troppo alta o che non sono state concesse le attenuanti generiche?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che questi motivi non rientrano tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. e, pertanto, un ricorso basato su tali censure è inammissibile.

Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso in Cassazione contro un patteggiamento?
Il ricorso è ammesso solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se si presenta un ricorso per patteggiamento basato su motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione non permessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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