Ricorso Patteggiamento Inammissibile: La Cassazione e i Limiti all’Impugnazione
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento processuale fondamentale per definire rapidamente i procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini di questa materia, dichiarando un ricorso patteggiamento inammissibile perché basato su motivi non consentiti dalla legge. Analizziamo insieme la decisione per comprendere quali sono le regole e le conseguenze per chi intende contestare una sentenza di patteggiamento.
I Fatti del Caso: Il Patteggiamento e il Ricorso
Il caso ha origine da una sentenza del G.I.P. del Tribunale di Piacenza che, su accordo tra le parti, aveva applicato a due imputati pene detentive e pecuniarie per reati in materia di sostanze stupefacenti. Nello specifico, al primo imputato era stata applicata una pena di due anni e dieci mesi di reclusione e 9.000 euro di multa, mentre al secondo una pena di tre anni di reclusione e 16.000 euro di multa.
Nonostante l’accordo raggiunto, entrambi gli imputati hanno deciso di presentare ricorso per Cassazione contro la sentenza, sollevando diverse questioni di diritto.
I Motivi del Ricorso: Perché gli Imputati si sono Opposti
I due ricorsi, seppur distinti, miravano a contestare la decisione del giudice di primo grado. In particolare:
* Il primo ricorrente lamentava una violazione di legge per la mancata riqualificazione del reato in un’ipotesi di minore gravità (il cosiddetto “fatto di lieve entità” previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti).
* Il secondo ricorrente, invece, contestava la mancata motivazione del giudice riguardo all’esclusione di possibili cause di non punibilità, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
Entrambi i motivi, pur toccando aspetti sostanziali del procedimento, si sono scontrati con le rigide regole che disciplinano l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento.
La Decisione della Cassazione sul ricorso patteggiamento inammissibile
La Corte di Cassazione ha esaminato i ricorsi e li ha dichiarati entrambi inammissibili. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto con la riforma del 2017.
I Limiti Tassativi dell’Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
Questa norma stabilisce un elenco chiuso e tassativo dei motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Essi includono:
1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato.
2. Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Qualsiasi altro motivo, anche se astrattamente fondato, non può essere fatto valere in sede di impugnazione.
Le Conseguenze dell’Inammissibilità
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato non solo il rigetto delle richieste degli imputati, ma anche la loro condanna al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte ha stabilito il versamento di una somma di 4.000 euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende, una sanzione prevista per i casi di ricorso inammissibile caratterizzati da un’evidente colpa del ricorrente.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che le censure sollevate dai ricorrenti non rientravano in alcuna delle categorie consentite dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La richiesta di una diversa qualificazione giuridica del fatto e la critica alla motivazione su una causa di non punibilità sono state considerate questioni che esulano dal perimetro dell’impugnazione consentita. L’adesione al patteggiamento implica, infatti, una parziale rinuncia a contestare l’accertamento del fatto e la valutazione del giudice, in cambio di uno sconto di pena. Permettere ricorsi basati su motivi ampi significherebbe snaturare la logica deflattiva e consensuale del rito stesso. La Corte ha quindi proceduto a una declaratoria di inammissibilità “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., data l’evidente infondatezza dei motivi proposti.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: la scelta del patteggiamento deve essere consapevole e ben ponderata, poiché preclude la possibilità di contestare la sentenza per motivi diversi da quelli specificamente previsti dalla legge. Chi accede a questo rito deve essere conscio che il margine di impugnazione è estremamente ridotto. La decisione conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza nel limitare i ricorsi dilatori o pretestuosi, sanzionando con il pagamento di somme significative i tentativi di aggirare le norme che regolano l’appello delle sentenze di patteggiamento. Per gli avvocati, ciò significa dover informare con estrema chiarezza i propri assistiti sulle conseguenze e sui limiti di tale scelta processuale.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, la legge limita fortemente i motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento. L’impugnazione è un’eccezione e non la regola.
Quali sono i motivi consentiti per ricorrere contro un patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., i motivi sono tassativi: problemi relativi al consenso dell’imputato, mancanza di corrispondenza tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa accade se si presenta un ricorso per patteggiamento basato su motivi non ammessi dalla legge?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38019 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38019 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/11/2023 del GIP TRIBUNALE di PIACENZA
dato av GLYPH o alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 29 novembre 2023 il G.U.P. del Tribunale di Piacenza per quanto di interesse in questa sede – ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a COGNOME NOME la pena di anni due, mesi dieci di reclusione ed euro 9.000,00 di multa e a COGNOME NOME la pena di anni tre di reclusione ed euro 16.000 di multa in ordine a reati in materia di sostanze stupefacenti.
Avverso tale sentenza hanno proposto due distinti ricorsi per cassazione gli imputati, rispettivamente deducendo: violazione di legge per omessa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 (COGNOME NOME); violazione di legge per omessa motivazione delle ragioni di esclusione delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen. (COGNOME NOME).
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto proposti con motivi non consentiti. Le dedotte censure, infatti, non rientrano tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardanti motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto d correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ex art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che, avuto riguardo all’elevato coefficiente di colpa connotante la rilevata causa di inammissibilità, appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2024
Il Consigliere estensore
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