Ricorso Patteggiamento Inammissibile: I Limiti Imposti dalla Legge
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione accelerata dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato con chiarezza quando un ricorso patteggiamento è inammissibile, delineando i confini invalicabili per l’imputato che intende contestare la sentenza. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere i rigidi paletti normativi posti a tutela della stabilità di tali accordi.
I Fatti di Causa: Dal Patteggiamento al Ricorso
Il caso trae origine da una sentenza emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Venezia. L’imputato, accusato del reato di rapina e altro, aveva concordato con il Pubblico Ministero l’applicazione di una pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale. Il giudice, ratificando l’accordo, aveva emesso la relativa sentenza.
Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva successivamente di presentare ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, lamentando un vizio specifico: la mancata applicazione da parte del giudice delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 del codice di procedura penale. Secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto, prima di applicare la pena concordata, verificare la sussistenza di evidenti motivi per un’assoluzione nel merito.
La Decisione della Cassazione: Ricorso Patteggiamento Inammissibile
La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile senza neppure entrare nel merito della doglianza. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa e letterale dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, una norma introdotta dalla riforma del 2017 per limitare drasticamente le possibilità di impugnare le sentenze di patteggiamento.
Secondo la Corte, questa norma elenca in modo tassativo i soli motivi per cui sia l’imputato che il Pubblico Ministero possono ricorrere. Di conseguenza, ogni altro motivo, per quanto potenzialmente fondato in un processo ordinario, non è consentito in questo specifico contesto, rendendo il ricorso patteggiamento inammissibile.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte è netta e si concentra sulla portata dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. I Supremi Giudici hanno chiarito che il ricorso contro una sentenza di patteggiamento può essere proposto esclusivamente per i seguenti motivi:
1. Vizi nella espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso all’accordo non è stato libero e consapevole.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha applicato una pena diversa da quella concordata.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo palesemente errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione è contraria alla legge.
Il motivo sollevato dal ricorrente, ovvero la mancata valutazione delle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., non rientra in alcuna di queste categorie. Pertanto, la legge non consente di presentare un ricorso basato su tale censura. La Corte ha sottolineato che, aderendo al patteggiamento, l’imputato accetta implicitamente una rinuncia a far valere determinate eccezioni in cambio di un beneficio sanzionatorio.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: la sentenza di patteggiamento gode di una stabilità rafforzata, e le possibilità di rimetterla in discussione sono estremamente limitate. La scelta di questo rito processuale deve essere ponderata attentamente, poiché preclude la possibilità di sollevare in seguito questioni che non rientrino nel ristretto novero di motivi di ricorso previsti dalla legge.
La declaratoria di inammissibilità ha avuto anche conseguenze economiche per il ricorrente, il quale è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende, a titolo di sanzione per aver proposto un ricorso non consentito dalla legge.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è consentito solo per i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, quali vizi della volontà, erronea qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena.
La mancata applicazione delle cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per ricorrere contro un patteggiamento?
No, secondo l’ordinanza, questo motivo non rientra tra quelli ammessi dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento e, pertanto, rende il ricorso inammissibile.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso tremila euro, in favore della Cassa delle Ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso non consentito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19151 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 19151 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
Pastore NOME, nato a Venezia il DATA_NASCITA,
avverso la sentenza del 24/05/2023 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con la sentenza in epigrafe, Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Venezia, ha applicato al ricorrente, ex art. 444 cod. proc. pen., la pena concordata tra le parti in relazione al reato di rapina ed altro.
Ricorre per cassazione l’imputato, dolendosi della mancata applicazione delle cause di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 50 del legge n. 103 del 23 giugno 2017, precedente alla richiesta di applicazione della pena, il Pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erro qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza.
Ne consegue che sono inammissibili ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto non consentiti dalla legge, i motivi di ricorso che, come quelli in esame, attengono alla mancata applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen..
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 12.03.2024.
Il Consigliere estensore
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Il Presidente
NOME COGNOME