Ricorso Patteggiamento Inammissibile: Quando la Cassazione Chiude la Porta
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti dell’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La Corte di Cassazione ha ribadito che non tutti i motivi di doglianza sono validi, dichiarando un ricorso patteggiamento inammissibile perché fondato su un vizio di motivazione, un argomento escluso dalla legge per questo specifico rito. Analizziamo insieme la vicenda e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso: un Appello contro il Patteggiamento
Il caso ha origine da una sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) del Tribunale di Velletri. In quella sede, un imputato aveva concordato una pena (patteggiamento) di tre anni, un mese e dieci giorni di reclusione per il grave reato di tentato omicidio.
Nonostante l’accordo sulla pena, l’imputato, tramite il suo difensore, ha deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. Il motivo sollevato era uno solo: il vizio di motivazione della sentenza, lamentandone la mancanza o la manifesta illogicità.
La Decisione della Cassazione: il Ricorso Patteggiamento è Inammissibile
La Suprema Corte ha respinto il ricorso senza nemmeno entrare nel merito della questione, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su una regola precisa e restrittiva introdotta nel codice di procedura penale dalla legge n. 103/2017 (la cosiddetta “Riforma Orlando”).
I Motivi di Ricorso Consentiti dall’Art. 448 c.p.p.
L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce un elenco tassativo dei motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. Questi sono:
1. Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato libero e consapevole).
2. Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza (se il giudice ha applicato una pena diversa da quella concordata).
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto (se il reato è stato classificato in modo sbagliato).
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Qualsiasi motivo al di fuori di questo elenco non può essere utilizzato per contestare una sentenza di patteggiamento.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte ha spiegato che la scelta del legislatore è stata quella di limitare drasticamente la possibilità di appello per le sentenze emesse con rito abbreviato, al fine di garantire la stabilità e la celerità di questo procedimento speciale. Il ricorrente, nel caso di specie, ha sollevato una questione relativa al vizio di motivazione, un motivo non compreso nell’elenco dell’art. 448 c.p.p. Di conseguenza, il ricorso era destinato a fallire sin dall’inizio.
Inoltre, i giudici hanno sottolineato come il ricorso fosse formulato in termini del tutto generici e privi di specificità, senza indicare con precisione in quali punti la motivazione sarebbe stata carente o illogica. Anche questo ha contribuito alla dichiarazione di inammissibilità.
Le Conclusioni
La pronuncia conferma un principio fondamentale: chi sceglie la via del patteggiamento accetta una limitazione dei propri mezzi di impugnazione. Non è possibile, in un secondo momento, contestare la sentenza sulla base di argomenti generali come la presunta illogicità della motivazione. Le porte della Cassazione si aprono solo per i vizi specificamente previsti dalla legge.
Le conseguenze per il ricorrente sono state concrete: oltre alla conferma della condanna, è stato obbligato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende. Una lezione importante sull’uso corretto e consapevole degli strumenti processuali.
È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, la sentenza di patteggiamento può essere impugnata in Cassazione solo per i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come vizi della volontà o illegalità della pena.
Il vizio di motivazione è un motivo valido per ricorrere contro una sentenza di patteggiamento?
No, il vizio di motivazione (mancanza, manifesta illogicità o contraddittorietà) non rientra tra i motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza emessa a seguito di patteggiamento.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9087 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9087 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in GRECIA il 22/09/2003
avverso la sentenza del 11/11/2024 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di Velletri
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza emessa in data 11 novembre 2024, secondo il rito di cui all’art. 444 cod. proc. pen., il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Velletri ha applicato a NOME COGNOME la pena di anni tre, mesi uno e giorni dieci di reclusione per il reato di cui agli artt. 56-575 cod. pen. commesso il 23/12/2023.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale deduce il vizio di motivazione, per la mancanza o la manifesta illogicità della stessa.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, trattandosi di impugnazione proposta avverso una sentenza di applicazione della pena, presentata al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. Tale norma, introdotta dall’art. 1, comma 50, legge n. 103/2017, limita la ricorribilità in cassazione delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ai «motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza». Il ricorrente deduce, invece, la mancanza, manifesta illogicità, contraddittorietà della motivazione, in termini del tutto generici e senza indicare alcun punto della stessa, in cui emergerebbero tali vizi.
Il ricorso, pertanto, è inammissibile, sia perché vedente su motivi non consentiti dal codice di rito, sia perché del tutto generico e privo di specificità, tanto da non indicare in modo preciso e comprensibile la natura della doglianza e le sue ragioni.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
4. GLYPH
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il Presidente
Il Consigliere estensore
Così deciso il 20 febbraio 2025