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Ricorso patteggiamento inammissibile: i limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso patteggiamento inammissibile, ribadendo che, a seguito della riforma del 2017, i motivi di impugnazione sono tassativi. La richiesta di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. non rientra tra i motivi validi, comportando l’inammissibilità dell’appello e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento Inammissibile: La Cassazione Fissa i Paletti

Impugnare una sentenza di patteggiamento è una strada stretta e ben definita dal legislatore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta i limiti invalicabili, dichiarando un ricorso patteggiamento inammissibile perché fondato su motivi non previsti dalla legge. Questa decisione sottolinea l’importanza di comprendere le precise regole procedurali introdotte con la riforma del 2017, che hanno significativamente ristretto le possibilità di appello per chi sceglie questo rito alternativo.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto ‘patteggiamento’) emessa dal GIP di un Tribunale del Sud Italia. L’imputato era stato condannato per una violazione della normativa sugli stupefacenti (art. 73 del d.P.R. 309/1990).

Nonostante l’accordo raggiunto con la pubblica accusa, la difesa dell’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione. Il motivo addotto era un presunto vizio di motivazione: secondo il ricorrente, il giudice di primo grado avrebbe errato nel non applicare l’art. 129 del codice di procedura penale, che prevede l’obbligo di un proscioglimento immediato quando risulta evidente una delle cause di non punibilità.

La Decisione della Corte e il Ricorso Patteggiamento Inammissibile

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha tagliato corto, dichiarando il ricorso inammissibile. La Corte ha applicato una procedura semplificata e non partecipata, come previsto per i casi di manifesta inammissibilità.

La conseguenza diretta per il ricorrente è stata non solo la conferma della sentenza impugnata, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso privo dei requisiti di legge.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, modificato dalla legge n. 103 del 2017. Questa norma elenca in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono:

1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato: se il consenso al patteggiamento non è stato libero e consapevole.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha applicato una pena diversa da quella concordata.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione è contraria alla legge.

La Corte ha osservato che la censura del ricorrente, relativa alla mancata applicazione del proscioglimento ex art. 129 c.p.p., esula completamente da questo elenco. Pertanto, il motivo del ricorso non era consentito dalla legge. I giudici hanno sottolineato come questa limitazione sia una scelta precisa del legislatore, volta a dare stabilità alle sentenze di patteggiamento e a deflazionare il carico dei giudizi di impugnazione. L’inammissibilità è stata quindi dichiarata sulla base del combinato disposto degli artt. 448, comma 2-bis, e 610, comma 5-bis, c.p.p., che disciplinano proprio questi casi.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione pratica: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia quasi totale al diritto di impugnazione. Chi accede a questo rito deve essere consapevole che la sentenza potrà essere messa in discussione solo per vizi gravissimi e specificamente individuati. Tentare di appellarsi per altre ragioni, come la speranza di un proscioglimento nel merito che il giudice di primo grado avrebbe omesso di valutare, si traduce in un ricorso patteggiamento inammissibile. Le conseguenze non sono solo procedurali, ma anche economiche, data la condanna al pagamento di spese e sanzioni. Questa pronuncia consolida un orientamento rigoroso, che impone a difensori e imputati una valutazione estremamente attenta e consapevole prima di intraprendere la via del ricorso avverso una sentenza di applicazione della pena.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No. La legge, in particolare l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, limita severamente i motivi per cui è possibile presentare ricorso, rendendo l’impugnazione un’eccezione e non la regola.

Quali sono i motivi validi per un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi sono esclusivamente quelli elencati dalla legge: vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto e illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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