Ricorso Patteggiamento in Appello: La Cassazione Fissa i Paletti
Il patteggiamento in appello, o più tecnicamente ‘concordato in appello’, rappresenta uno strumento importante nel nostro ordinamento processuale per definire il giudizio in secondo grado. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo, quali sono le possibilità di contestarlo? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14999 del 2024, offre un chiarimento decisivo sui limiti del ricorso patteggiamento in appello, stabilendo che non ogni doglianza può essere portata al suo vaglio.
I Fatti del Caso: La Contestazione di una Sentenza Concordata
Il caso analizzato dalla Suprema Corte nasce da un ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Catania, emessa a seguito di un accordo tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. L’imputato, tramite il suo legale, non contestava l’accordo in sé, ma lamentava una ‘carenza motivazionale’ nella sentenza che lo aveva recepito. In sostanza, si doleva del fatto che il giudice d’appello non avesse spiegato adeguatamente le ragioni della sua decisione.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile ‘de plano’, ovvero senza nemmeno procedere a un’udienza di discussione. La decisione è netta e si fonda su un’interpretazione rigorosa della normativa che disciplina il ricorso patteggiamento in appello. Secondo i giudici di legittimità, le ragioni addotte dal ricorrente non rientravano nel novero di quelle per cui la legge consente di impugnare una sentenza di questo tipo.
Le Motivazioni della Suprema Corte: i Limiti Tassativi del Ricorso
La parte centrale della pronuncia risiede nelle motivazioni. La Corte ricorda che, con la reintroduzione del patteggiamento in appello (Legge n. 103/2017), la giurisprudenza consolidata ha chiarito che l’accesso alla Cassazione è eccezionale e limitato a specifiche violazioni. Un ricorso patteggiamento in appello è ammissibile esclusivamente per motivi che attengono alla regolarità del procedimento con cui si è formato l’accordo. Nello specifico, i motivi validi sono:
1. Vizi nella formazione della volontà della parte: se l’imputato ha aderito all’accordo senza una volontà libera e consapevole (ad esempio, per errore o violenza).
2. Mancanza del consenso del pubblico ministero: se l’accordo è stato ratificato dal giudice senza il necessario consenso dell’accusa.
3. Contenuto difforme della pronuncia: se la sentenza del giudice si discosta da quanto pattuito tra le parti.
La Corte sottolinea che il motivo sollevato dal ricorrente, ossia la presunta carenza di motivazione, non rientra in nessuna di queste tre categorie tassative. La logica del legislatore è quella di dare stabilità agli accordi processuali: una volta che le parti hanno concordato la pena, il giudizio si conclude e non può essere riaperto per contestare aspetti di merito o formali, come la completezza della motivazione, che sono superati dall’accordo stesso.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: il patteggiamento in appello è un atto negoziale che, una volta perfezionato, chiude la vicenda processuale in modo quasi definitivo. Le parti, accettando l’accordo, rinunciano implicitamente a sollevare future contestazioni sul merito della decisione. Di conseguenza, l’impugnazione in Cassazione non può diventare uno strumento per rimettere in discussione l’esito concordato, salvo che non siano stati violati i presupposti fondamentali della sua formazione. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questo significa che la scelta di accedere al concordato in appello deve essere ponderata attentamente, con la consapevolezza che le vie di ricorso successive sono estremamente limitate e circoscritte alla tutela della correttezza procedurale dell’accordo stesso.
È possibile presentare un ricorso in Cassazione contro una sentenza di “patteggiamento in appello”?
Sì, ma solo per un numero molto limitato di motivi espressamente previsti dalla legge, che riguardano la correttezza della formazione dell’accordo e non il merito della decisione.
Quali sono i motivi validi per impugnare un “patteggiamento in appello” in Cassazione?
I motivi ammissibili sono esclusivamente quelli relativi a vizi nella formazione della volontà della parte di accedere all’accordo, al consenso del pubblico ministero o a un contenuto della sentenza finale che sia difforme da quanto concordato tra le parti.
La mancanza di motivazione della sentenza è un motivo valido per il ricorso?
No, secondo questa ordinanza, la carenza di motivazione della sentenza che recepisce il patteggiamento in appello non rientra tra i motivi tassativi per cui è possibile ricorrere in Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14999 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14999 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PIACENTE NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/03/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Catania ha pronunciato la sentenza in epigr indicata, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., nei confronti di COGNOME; questi, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricors cassazione avverso la predetta pronunciai, lamentando la sussistenza di carenza motivazionale.
Osserva il Collegio che – a seguito della reintroduzione del patteggiamento in appello di cui all’art. 599-bis cod. proc. pen., ad ope legge n. 103 del 2017 – rivive il principio, già elaborato dalla giurisprud legittimità, secondo cui, in tema di concordato in appello, è ammissibile il in cassazione esclusivamente per motivi relativi alla formazione della volontà parte di accedere al concordato, nonché al consenso del pubblico minister ordine alla richiesta e, infine, al contenuto difforme della pronuncia del giu motivo di ricorso dedotto dal ricorrente, invece, non rientra fra i casi elencati.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile de plano, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. (introdotto dalla medesima leg 103 del 2017), con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processu e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
NOMEQ, NOME.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa d ammende.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.