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Ricorso patteggiamento: i motivi in Cassazione

Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Un imputato, condannato per minaccia aggravata, ha impugnato la sentenza lamentando la mancata valutazione delle cause di proscioglimento. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso patteggiamento inammissibile, ribadendo che, a seguito della riforma del 2017 (art. 448, comma 2-bis c.p.p.), tale impugnazione è possibile solo per specifici motivi tassativamente elencati, tra cui non rientra quello sollevato dal ricorrente. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: I Limiti dell’Appello in Cassazione

L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali, ma quali sono i confini per contestare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui motivi tassativi che consentono un ricorso patteggiamento, evidenziando come le modifiche legislative abbiano ristretto notevolmente il campo d’azione della difesa. Questo caso offre un’analisi chiara delle conseguenze di un’impugnazione basata su motivi non ammessi dalla legge.

La Vicenda Processuale: Dal Tribunale alla Cassazione

Il caso ha origine da una sentenza del Tribunale di Brindisi, con la quale un imputato, tramite accordo con il Pubblico Ministero, ha ottenuto l’applicazione di una pena di un anno di reclusione per il reato di minaccia aggravata. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha deciso di presentare ricorso alla Suprema Corte di Cassazione.

Il motivo del ricorso era unico e specifico: la difesa lamentava una carenza di motivazione da parte del giudice di primo grado riguardo all’insussistenza delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 del codice di procedura penale. In sostanza, si contestava al Tribunale di non aver verificato adeguatamente la possibilità di un’assoluzione immediata prima di ratificare il patteggiamento.

L’Impatto della Riforma Legislativa sul Ricorso Patteggiamento

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’applicazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la legge n. 103 del 23 giugno 2017, ha segnato una svolta significativa, limitando drasticamente i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata.

La legge stabilisce che il ricorso è consentito esclusivamente per motivi attinenti a:
1. L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena applicata.

La Corte ha sottolineato come l’omessa valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. non rientri in questo elenco tassativo. Di conseguenza, il motivo addotto dal ricorrente era, per legge, inammissibile.

Le Motivazioni

Nelle sue motivazioni, la Suprema Corte ha chiarito che la volontà del legislatore del 2017 era quella di conferire maggiore stabilità alle sentenze di patteggiamento, evitando ricorsi pretestuosi o dilatori. L’elenco dei motivi di impugnazione è chiuso e non suscettibile di interpretazione estensiva.

Il motivo sollevato dall’imputato, relativo alla presunta mancata analisi delle cause di non punibilità, non rientra in nessuna delle quattro categorie previste. Pertanto, il ricorso è stato giudicato inammissibile “in quanto proposto per un motivo non consentito dalla legge”.

Inoltre, i giudici hanno applicato anche l’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., anch’esso introdotto dalla medesima riforma. Questa norma permette di dichiarare l’inammissibilità con un’ordinanza “de plano”, ovvero senza le formalità di un’udienza in camera di consiglio e senza avvisare le parti, accelerando ulteriormente la definizione del procedimento quando l’inammissibilità è palese.

Conclusioni

La decisione in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, conferma la rigidità dei nuovi limiti al ricorso patteggiamento, scoraggiando impugnazioni che non si fondino su uno dei quattro motivi specificamente previsti dalla legge. In secondo luogo, la conseguenza diretta dell’inammissibilità non è neutra: il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000 euro alla Cassa delle ammende. Questo serve da monito sulla necessità di una valutazione attenta e rigorosa dei presupposti legali prima di intraprendere la via del ricorso in Cassazione avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, la legge, in particolare l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., limita i motivi di ricorso a quattro categorie specifiche: problemi nel consenso dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto e illegalità della pena.

La mancata valutazione delle cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per ricorrere contro un patteggiamento?
No. Come chiarito dall’ordinanza, questo motivo non rientra nell’elenco tassativo dei motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento dopo la riforma del 2017.

Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per un motivo non consentito dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 4.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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