Ricorso Patteggiamento: I Limiti dell’Appello in Cassazione
L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali, ma quali sono i confini per contestare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui motivi tassativi che consentono un ricorso patteggiamento, evidenziando come le modifiche legislative abbiano ristretto notevolmente il campo d’azione della difesa. Questo caso offre un’analisi chiara delle conseguenze di un’impugnazione basata su motivi non ammessi dalla legge.
La Vicenda Processuale: Dal Tribunale alla Cassazione
Il caso ha origine da una sentenza del Tribunale di Brindisi, con la quale un imputato, tramite accordo con il Pubblico Ministero, ha ottenuto l’applicazione di una pena di un anno di reclusione per il reato di minaccia aggravata. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha deciso di presentare ricorso alla Suprema Corte di Cassazione.
Il motivo del ricorso era unico e specifico: la difesa lamentava una carenza di motivazione da parte del giudice di primo grado riguardo all’insussistenza delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 del codice di procedura penale. In sostanza, si contestava al Tribunale di non aver verificato adeguatamente la possibilità di un’assoluzione immediata prima di ratificare il patteggiamento.
L’Impatto della Riforma Legislativa sul Ricorso Patteggiamento
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’applicazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la legge n. 103 del 23 giugno 2017, ha segnato una svolta significativa, limitando drasticamente i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata.
La legge stabilisce che il ricorso è consentito esclusivamente per motivi attinenti a:
1. L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena applicata.
La Corte ha sottolineato come l’omessa valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. non rientri in questo elenco tassativo. Di conseguenza, il motivo addotto dal ricorrente era, per legge, inammissibile.
Le Motivazioni
Nelle sue motivazioni, la Suprema Corte ha chiarito che la volontà del legislatore del 2017 era quella di conferire maggiore stabilità alle sentenze di patteggiamento, evitando ricorsi pretestuosi o dilatori. L’elenco dei motivi di impugnazione è chiuso e non suscettibile di interpretazione estensiva.
Il motivo sollevato dall’imputato, relativo alla presunta mancata analisi delle cause di non punibilità, non rientra in nessuna delle quattro categorie previste. Pertanto, il ricorso è stato giudicato inammissibile “in quanto proposto per un motivo non consentito dalla legge”.
Inoltre, i giudici hanno applicato anche l’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., anch’esso introdotto dalla medesima riforma. Questa norma permette di dichiarare l’inammissibilità con un’ordinanza “de plano”, ovvero senza le formalità di un’udienza in camera di consiglio e senza avvisare le parti, accelerando ulteriormente la definizione del procedimento quando l’inammissibilità è palese.
Conclusioni
La decisione in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, conferma la rigidità dei nuovi limiti al ricorso patteggiamento, scoraggiando impugnazioni che non si fondino su uno dei quattro motivi specificamente previsti dalla legge. In secondo luogo, la conseguenza diretta dell’inammissibilità non è neutra: il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000 euro alla Cassa delle ammende. Questo serve da monito sulla necessità di una valutazione attenta e rigorosa dei presupposti legali prima di intraprendere la via del ricorso in Cassazione avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.
È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, la legge, in particolare l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., limita i motivi di ricorso a quattro categorie specifiche: problemi nel consenso dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto e illegalità della pena.
La mancata valutazione delle cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per ricorrere contro un patteggiamento?
No. Come chiarito dall’ordinanza, questo motivo non rientra nell’elenco tassativo dei motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento dopo la riforma del 2017.
Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per un motivo non consentito dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 4.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28141 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 5 Num. 28141 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Brindisi il 30/01/1974 avverso la sentenza del 12/12/2024 del Tribunale di Brindisi visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Brindisi, su richiesta dell’imputato e con il consenso del Pubblico ministero, ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a NOME COGNOME la pena di anno uno di reclusione per il reato di minaccia aggravata.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di un unico motivo, con il quale lamenta carenza di motivazione in ordine alla insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
L’art. 448, comma 2bis , cod. proc. pen. introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, ha stabilito che la sentenza di
patteggiamento è ricorribile per cassazione solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica e all’illegalità della pena e tra tali motivi non rientra l’omessa valutazione delle condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso è, pertanto, inammissibile in quanto proposto per un motivo non consentito dalla legge.
Peraltro, in tale ipotesi, ai sensi dell’art. 610, comma 5bis , cod. proc. pen., anch’esso introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103 ed applicabile alla fattispecie, l’inammissibilità del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti deve essere dichiarata senza formalità di procedura, ossia con ordinanza de plano senza neppure avvisare le parti della fissazione dell’udienza in camera di consiglio ai fini della instaurazione del contraddittorio.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/07/2025.