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Ricorso patteggiamento: i motivi di inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento, poiché i motivi addotti non rientrano nel novero tassativo previsto dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p. La decisione chiarisce che il ricorso patteggiamento non può vertere sulla motivazione in ordine alla responsabilità, ma solo su vizi specifici come l’espressione della volontà o l’illegalità della pena.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: i Limiti Tassativi Stabiliti dalla Cassazione

La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, comunemente nota come patteggiamento, rappresenta una delle vie principali per la definizione alternativa dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta che il giudice ha accolto l’accordo tra imputato e pubblico ministero, le possibilità di impugnare tale decisione sono estremamente limitate. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ribadisce con chiarezza i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, dichiarando inammissibile un’impugnazione basata su motivi non previsti dalla legge.

I Fatti del Caso

Nel caso in esame, un imputato, a seguito di una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Bergamo per un reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990 (Testo Unico sugli stupefacenti), decideva di presentare ricorso per cassazione. Tramite il suo difensore, lamentava la violazione dell’art. 129 del codice di procedura penale e, soprattutto, una carenza di motivazione da parte del giudice di primo grado riguardo all’affermazione della sua responsabilità penale.

La Disciplina del Ricorso Patteggiamento

Il punto centrale della questione ruota attorno all’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla riforma del 2017 (Legge n. 103), ha circoscritto in modo netto i motivi per cui è possibile presentare ricorso in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento. La legge stabilisce che il ricorso patteggiamento è ammesso esclusivamente per i seguenti motivi:

1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso all’accordo non è stato libero e consapevole.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha applicato una pena diversa da quella concordata.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione è contraria alla legge per specie o quantità.

Qualsiasi altro motivo di doglianza, inclusa la critica alla motivazione sulla colpevolezza, esula da questo elenco tassativo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha dichiarato il ricorso inammissibile in modo netto e inequivocabile. I giudici hanno evidenziato che le censure mosse dalla difesa, relative alla presunta carenza di motivazione sull’affermazione di responsabilità, non rientrano in nessuna delle quattro categorie consentite dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p.

La Corte ha spiegato che, al di fuori dei casi espressamente previsti, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile attraverso una procedura semplificata e non partecipata, come disposto dal combinato degli articoli 448, comma 2-bis, e 610, comma 5-bis c.p.p. In pratica, la scelta del patteggiamento implica una rinuncia a contestare l’accertamento della responsabilità, salvo i vizi specifici legati alla formazione della volontà o all’illegalità della sanzione finale. Proporre vizi della motivazione, come nel caso di specie, significa tentare di superare un limite che il legislatore ha volutamente imposto per garantire la stabilità di questo rito alternativo.

Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione tipica per i ricorsi ritenuti inammissibili.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. Chi sceglie la via del patteggiamento deve essere pienamente consapevole che le possibilità di rimettere in discussione la sentenza sono estremamente ridotte. Il ricorso patteggiamento non è uno strumento per ottenere un nuovo giudizio nel merito, ma solo un rimedio eccezionale per correggere specifici errori procedurali o sostanziali definiti dalla legge. La decisione rafforza la natura ‘negoziale’ del patteggiamento: una volta raggiunto l’accordo e ratificato dal giudice, la questione della colpevolezza si cristallizza, e la sentenza diventa quasi inattaccabile, salvo i rari casi previsti dal legislatore.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un numero limitato e tassativo di motivi specificati dalla legge.

Quali sono gli unici motivi per cui è ammesso un ricorso patteggiamento in Cassazione?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis c.p.p., i motivi ammessi sono: problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se si propone un ricorso per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione con una procedura semplificata. Il ricorrente viene inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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