Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile? L’Analisi della Cassazione
Il ricorso patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale di grande interesse, soprattutto dopo le modifiche introdotte nel 2017. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti all’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di accordo tra le parti. Questo caso chiarisce quali motivi possono essere validamente presentati e quali, invece, conducono a una dichiarazione di inammissibilità, con conseguenze economiche per i ricorrenti. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio la portata della normativa.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine da una sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare (G.U.P.) del Tribunale di Vicenza, che aveva applicato la pena su richiesta delle parti (il cosiddetto ‘patteggiamento’) a due imputati per reati in materia di sostanze stupefacenti. Le pene concordate consistevano in otto mesi di reclusione e 3.000 euro di multa per un imputato, e un anno di reclusione e 1.200 euro di multa per l’altro, entrambe in aumento rispetto a precedenti condanne.
Contro questa sentenza, entrambi gli imputati hanno proposto distinti ricorsi per Cassazione, lamentando vizi della decisione. Il primo imputato ha dedotto la genericità e la carenza di motivazione della sentenza, mentre il secondo ha lamentato l’inosservanza di norme procedurali e una motivazione insufficiente e illogica.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento dopo la Riforma
Il punto cruciale della vicenda risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto con la legge del 23 giugno 2017, n. 103. Questa norma ha significativamente ristretto i motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento in Cassazione. L’obiettivo del legislatore era quello di deflazionare il carico di lavoro della Suprema Corte, evitando impugnazioni basate su motivi generici o pretestuosi contro sentenze che, per loro natura, nascono da un accordo.
I motivi consentiti sono tassativamente indicati e riguardano:
* L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
* Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
* L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in questo elenco è destinato a essere dichiarato inammissibile.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, ritenendo che le censure sollevate dagli imputati non rientrassero in nessuna delle categorie previste dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
L’Estraneità dei Motivi Proposti
I giudici di legittimità hanno osservato che le doglianze relative alla ‘genericità’, ‘carenza’, ‘insufficienza’ o ‘illogicità’ della motivazione non sono contemplate dalla norma. Questi tipi di censure, infatti, sono esclusi dal perimetro del sindacato della Cassazione sulle sentenze di patteggiamento. La natura stessa del rito, basato su un accordo processuale, riduce l’obbligo motivazionale del giudice, che si concentra principalmente sulla correttezza della qualificazione giuridica, sulla congruità della pena e sull’assenza di cause di proscioglimento evidenti.
Poiché i motivi addotti dai ricorrenti non toccavano né la validità del consenso, né la legalità della pena, né gli altri aspetti consentiti, la Corte non ha potuto fare altro che dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi ‘senza formalità’, come previsto dall’articolo 610, comma 5-bis, c.p.p.
La Condanna alle Spese e alla Cassa delle Ammende
A seguito della declaratoria di inammissibilità, la legge prevede la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte li ha condannati a versare una somma di 4.000 euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende. La quantificazione di tale somma è stata giustificata sulla base dell’ ‘elevato coefficiente di colpa’ dei ricorrenti nel proporre un’impugnazione per motivi palesemente non consentiti dalla legge vigente, dimostrando una grave negligenza nell’interpretazione delle norme processuali.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato: impugnare una sentenza di patteggiamento è un’azione da ponderare con estrema attenzione. È fondamentale che i motivi del ricorso rientrino scrupolosamente nell’elenco tassativo previsto dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Proporre un ricorso patteggiamento basato su critiche generiche alla motivazione non solo è inutile ai fini di una riforma della sentenza, ma espone anche a significative conseguenze economiche. La decisione serve da monito per la difesa, che deve valutare con rigore la sussistenza dei presupposti legali prima di adire la Corte di Cassazione, evitando così di incorrere in una declaratoria di inammissibilità e nelle relative sanzioni pecuniarie.
È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso contro una sentenza di patteggiamento non è sempre possibile. È ammesso solo per i motivi specificamente ed esclusivamente elencati dalla legge all’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per impugnare una sentenza di patteggiamento?
I motivi validi riguardano esclusivamente: problemi con l’espressione della volontà dell’imputato (consenso viziato), la mancanza di corrispondenza tra la richiesta di pena e la sentenza, un’errata qualificazione giuridica del reato, oppure l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se si presenta un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Se il ricorso è basato su motivi non previsti dalla legge, come una generica critica alla motivazione, la Corte di Cassazione lo dichiara inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31615 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31615 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a PEDEROBBA il 07/12/1970 NOME nato il 12/05/1991
avverso la sentenza del 29/01/2025 del GIUDICE COGNOME di VICENZA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 29 gennaio 2025 il G.U.P. del Tribunale di Vicenza per quanto di interesse in questa sede – ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a Ceccato Paolo la pena di mesi otto di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, in aumento sulla pena inflittagli con altra precedente sentenza, e a Hoxha Arjan la pena di anni uno di reclusione ed euro 1.200 di multa, in aumento sulla pena individuata con precedente pronuncia, entrambi per reati in materia di sostanze stupefacenti.
Avverso tale sentenza hanno proposto due distinti ricorsi per cassazione gli imputati, rispettivamente deducendo: genericità e carenza di motivazione (COGNOME NOME); inosservanza dell’art. 129 cod. proc. pen. e motivazione insufficiente e illogica (NOME COGNOME.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto proposti con motivi non consentiti. Le dedotte censure, infatti, non rientrano tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardanti motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ex art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che, avuto riguardo all’elevato coefficiente di colpa connotante la rilevata causa di inammissibilità, appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’8 luglio 2025
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