Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso l’Appello in Cassazione?
Il ricorso patteggiamento rappresenta uno strumento processuale di grande rilevanza, ma le sue vie di impugnazione sono state significativamente ristrette dalla Riforma Orlando (Legge n. 103/2017). Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione, la n. 5098/2025, offre un chiaro monito sui limiti di questo strumento, dichiarando inammissibile un appello basato su motivi non più consentiti dalla legge. Analizziamo insieme la decisione per comprendere appieno le regole del gioco.
I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso
Il caso ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Roma, con la quale un imputato vedeva applicata una pena concordata per i reati di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, previsti dagli articoli 337 e 339 del codice penale.
Non soddisfatto della decisione, l’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. La doglianza principale si concentrava su presunti vizi di motivazione della sentenza, in particolare sulla mancata valutazione di possibili cause di proscioglimento secondo l’articolo 129 del codice di procedura penale.
Limiti al Ricorso Patteggiamento: La Decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso senza nemmeno procedere a un’udienza formale, utilizzando la procedura de plano. La decisione è stata netta: il ricorso è inammissibile. La Corte ha sottolineato che le censure proposte dal ricorrente esulavano completamente dal perimetro dei motivi ammessi per impugnare una sentenza di patteggiamento dopo le modifiche introdotte dalla Legge n. 103 del 2017.
Le Motivazioni della Corte: L’Impatto della Riforma Orlando
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla Riforma Orlando, ha trasformato la disciplina del ricorso patteggiamento, limitando drasticamente le possibilità di appello.
La Corte ha spiegato che il ricorso è ammesso solo ed esclusivamente per i seguenti motivi:
1. Vizi della volontà: Problemi legati all’espressione del consenso da parte dell’imputato (ad esempio, se il consenso è stato dato per errore o sotto coercizione).
2. Erronea qualificazione giuridica: Se il fatto è stato classificato in modo errato dal punto di vista legale.
3. Difetto di correlazione: Quando c’è una discrepanza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice nella sentenza.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Se la sanzione applicata è contraria alla legge.
Nel caso specifico, il ricorrente lamentava un vizio di motivazione, un motivo che non rientra in questo elenco tassativo. Di conseguenza, il suo appello era destinato all’inammissibilità fin dall’inizio. A causa di ciò, l’imputato è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Conclusioni: Guida Pratica per il Ricorrente
Questa ordinanza della Cassazione serve come un importante promemoria per chiunque stia considerando la via del patteggiamento. La scelta di questo rito alternativo implica una rinuncia quasi totale al diritto di impugnazione nel merito. È fondamentale comprendere che, una volta emessa la sentenza di patteggiamento, le uniche porte aperte per un ricorso in Cassazione sono quelle, molto strette, definite dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Qualsiasi tentativo di contestare la sentenza per motivi diversi, come la valutazione delle prove o la motivazione del giudice, sarà inevitabilmente respinto, con l’ulteriore aggravio di spese e sanzioni pecuniarie. La consulenza di un legale esperto diventa quindi cruciale non solo nella fase di accordo per il patteggiamento, ma anche nella valutazione, a priori, delle ridotte possibilità di un eventuale futuro ricorso.
È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, non è possibile. A seguito della riforma del 2017, il ricorso è ammesso solo per i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per un ricorso patteggiamento in Cassazione?
I motivi validi riguardano esclusivamente l’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un vizio del consenso), l’erronea qualificazione giuridica del fatto, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se si presenta un ricorso per motivi non previsti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile, anche con procedura “de plano” (senza udienza), e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5098 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5098 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 05/03/1991
avverso la sentenza del 25/10/2023 del TRIBUNALE di ROMA
-kiato avviso
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTO E DIRITTO
Con ricorso affidato al difensore di fiducia, NOME COGNOME impugna la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. del Tribunale di Roma con cui gli è stata applicata la pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di cui agli artt. 337 e 339 cod. pen.
Il ricorrente deduce vizi di motivazione in ordine alla ritenuta omessa sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano perché le proposte censure esulano da quelle che, a seguito delle modifiche apportate al codice di rito dalla legge n. 103 del 2017, entrata in vigore il 3 agosto 2017, possono essere dedotte con il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Il ricorso, invero, è ammesso ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, all’erron qualificazione giuridica del fatto, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sente all’illegalità della pena o della misura di sicurezza, nessuno dei quali dedotto dal ricorren (cfr. Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272014).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 10/01/2025