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Ricorso patteggiamento: i limiti dell’impugnazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 38526/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre imputati contro una sentenza di applicazione pena su richiesta (patteggiamento). Il caso sottolinea i limiti tassativi per l’impugnazione di tale rito: il ricorso patteggiamento non può vertere su vizi di motivazione o sulla colpevolezza, ma solo sui casi specifici previsti dall’art. 448 c.p.p. La decisione ha comportato la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso e Perché Viene Rifiutato

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale penale che consente di definire il processo in modo rapido. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta una significativa limitazione del diritto di impugnazione. L’ordinanza della Corte di Cassazione qui in esame offre un chiaro esempio dei confini entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, ribadendo che non ogni doglianza può essere portata all’attenzione della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Tre imputati avevano definito la loro posizione processuale attraverso il rito del patteggiamento davanti al Tribunale di Roma. A due di essi era stata applicata una pena di 4 anni e 2 mesi di reclusione oltre a una multa di 20.000 euro, mentre al terzo una pena di 2 anni e 8 mesi e 14.000 euro di multa. Nonostante l’accordo sulla pena, gli imputati hanno deciso di presentare ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge riguardo all’affermazione della loro colpevolezza.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili. La Corte ha stabilito che le doglianze sollevate dagli imputati esulavano completamente dall’ambito dei motivi per i quali la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento. Di conseguenza, oltre a confermare la sentenza impugnata, ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro ciascuno a favore della Cassa delle ammende.

Le motivazioni e l’analisi del ricorso patteggiamento

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento. Essi sono:

1. Vizi nella espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato libero e consapevole.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha applicato una pena diversa da quella concordata.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: se la sanzione applicata è contraria alla legge.

La Corte ha sottolineato che i ricorrenti, nel contestare la motivazione sulla loro colpevolezza, hanno proposto un motivo non previsto da questo elenco. Il patteggiamento, infatti, si basa su un accordo che presuppone una forma di accettazione del fatto e della pena, rinunciando a un accertamento dibattimentale completo della responsabilità. Pertanto, non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione per riaprire una discussione sul merito della colpevolezza. La Suprema Corte ha richiamato consolidati orientamenti giurisprudenziali che confermano questa stretta interpretazione, evidenziando come la scelta del rito alternativo implichi una rinuncia a far valere determinate censure.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: chi sceglie il patteggiamento accetta un pacchetto che include benefici (sconto di pena) e limitazioni (ridotte possibilità di impugnazione). Presentare un ricorso patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge non solo è inutile ai fini dell’annullamento della sentenza, ma comporta anche conseguenze economiche negative. La condanna al pagamento delle spese e della sanzione alla Cassa delle ammende serve a sanzionare l’abuso dello strumento processuale. Per gli operatori del diritto e per gli imputati, questa decisione è un monito a valutare con estrema attenzione i presupposti e i limiti di ogni strumento processuale prima di attivarlo, per evitare esiti controproducenti.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento contestando la valutazione di colpevolezza?
No, l’ordinanza stabilisce che non è possibile. Il ricorso contro una sentenza di patteggiamento può essere proposto solo per i motivi tassativamente elencati dalla legge, tra i quali non rientra la contestazione sulla statuizione di reità o il vizio di motivazione su tale punto.

Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi, secondo l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., sono esclusivamente quelli attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. Nel caso di specie, tale somma è stata equitativamente fissata in 3.000 euro per ciascun ricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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