Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30586 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 30586 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/05/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
NOME, nato Milano il DATA_NASCITA
NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/01/2024 del G.i.p. del Tribunale di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 17/01/2024, il G.i.p. del Tribunale di Milano ha applicato, su richiesta dei rispettivi difensori muniti di procura speciale e con il consenso del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., per i reati contestati ricorrenti di cui ai capi da 1) a 25) dell’imputazione: 1) ad NOME COGNOME la pena di 5 anni di reclusione ed € 4.800,00 di multa; 2) a NOME COGNOME la pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione ed € 2.200,00 di multa.
Avverso l’indicata sentenza del 17/01/2024 del G.i.p. del Tribunale di Milano, hanno proposto ricorsi per cassazione, per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 81 e 133 cod. pen., sull’assunto che «gli aumenti di pena applicati mediante la continuazione esterna fra i vari reati devono ritenersi eccessivi, alla luce anche della concessione allo COGNOME delle circostanze attenuanti
generiche e, quindi, di elementi che permettono un’applicazione di aumenti in continuazione di portata minima e maggiormente prossima ai minimi di legge. Si auspica pertanto una rideterminazione della pena inflitta».
4. Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che il G.i.p. del Tribunale di Milano «avrebbe potuto ritenere eccessiva la pena base inflitta per il capo I e quindi respingere in tal senso l’accordo offerto dalle parti, e comunque evidenziare l’eccessività della pena finale, pur in presenza della concessione delle attenuanti generiche e l’aumento minimo per la continuazione».
5. In base al nuovo comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen., inserito dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
Ciò rammentato, si deve rilevare che gli unici motivi dei due ricorsi, i quali concernono non l’illegalità della pena – da intendere come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale – ma profili commisurativi della stessa non rientra tra i suddetti casi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento.
La Corte di cassazione ha infatti chiarito che è inammissibile, a norma dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che deduca motivi concernenti non l’illegalità della pena, intesa come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale, ma profili commisurativi della stessa, discendenti dalla violazione dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero attinenti al bilanciamento delle circostanze del reato o alla misura delle diminuzioni conseguenti alla loro applicazione (Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276509-01).
Trattandosi di impugnazioni proposte contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti dopo l’entrata in vigore della menzionata novella di cui alla legge n. 103 del 2017, il cui art. 1, comma 62, ha aggiunto all’art. 610 cod. proc. pen. il comma 5-bis, i ricorsi devono essere trattati nelle forme de plano, ai sensi del secondo periodo di quest’ultimo comma.
Per la ragione sopra indicata, i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché,
essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 ciascuno in favore cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 31/05/2024.