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Ricorso patteggiamento: i limiti dell’impugnazione

Due imputati hanno proposto ricorso contro una sentenza di patteggiamento, lamentando l’eccessività della pena. La Cassazione ha dichiarato il ricorso patteggiamento inammissibile, ribadendo che, dopo la riforma del 2017, i motivi di impugnazione sono limitati alla sola illegalità della pena e non alla sua commisurazione discrezionale.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: quando la pena è ‘troppo alta’ ma non ‘illegale’

Il ricorso patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale di grande interesse, specialmente dopo le modifiche introdotte dalla cosiddetta Riforma Orlando (L. 103/2017). Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce in modo definitivo i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La questione centrale è la netta distinzione tra una pena percepita come ‘eccessiva’ e una pena ‘illegale’: solo quest’ultima apre le porte al sindacato della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla sentenza del G.i.p. del Tribunale di Milano, che, accogliendo la richiesta di patteggiamento concordata tra difesa e accusa, applicava a due imputati pene detentive e pecuniarie significative. Nello specifico, al primo imputato veniva applicata una pena di 5 anni di reclusione e 4.800 euro di multa, mentre al secondo una pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione e 2.200 euro di multa. Nonostante l’accordo raggiunto, entrambi gli imputati, tramite i loro difensori, decidevano di proporre ricorso per cassazione avverso tale sentenza.

I Motivi del Ricorso Patteggiamento e le Doglianze degli Imputati

Le ragioni alla base del ricorso patteggiamento erano focalizzate esclusivamente sulla quantificazione della pena, ritenuta eccessiva.

Il primo ricorrente lamentava una erronea applicazione delle norme sulla continuazione tra reati (art. 81 c.p.) e sui criteri di commisurazione della pena (art. 133 c.p.). Sosteneva che gli aumenti di pena applicati per i reati satellite fossero sproporzionati, specialmente alla luce della concessione delle attenuanti generiche.

Il secondo ricorrente, in modo simile, argomentava che il giudice di primo grado avrebbe dovuto considerare eccessiva la pena base concordata e, di conseguenza, respingere l’accordo, evidenziando la sproporzione della sanzione finale.

In entrambi i casi, quindi, la critica non verteva sulla legalità della pena in sé, ma sulla sua congruità e proporzionalità, ossia su aspetti tipicamente legati alla discrezionalità del giudice nella commisurazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla Riforma Orlando del 2017. Questa norma ha limitato drasticamente i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

Le Motivazioni

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio ormai consolidato: il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è consentito solo per motivi specifici e tassativi. Essi sono:
1. Erronea espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza.

La Corte ha precisato che il concetto di ‘illegalità della pena’ ha un significato ben preciso e ristretto. Una pena è illegale quando non è prevista dall’ordinamento giuridico per quel tipo di reato o quando, per specie o quantità, eccede i limiti legali massimi (o è inferiore ai minimi). Al contrario, le censure relative all’eccessività della pena, alla sua sproporzione, al bilanciamento delle circostanze o all’uso dei poteri discrezionali del giudice secondo l’art. 133 c.p. rientrano nei ‘profili commisurativi’. Tali profili, essendo oggetto dell’accordo tra le parti, non possono essere messi in discussione tramite il ricorso patteggiamento in Cassazione. Poiché le doglianze dei ricorrenti riguardavano proprio la commisurazione della pena e non la sua illegalità, i ricorsi sono stati ritenuti al di fuori dei casi consentiti dalla legge e, pertanto, dichiarati inammissibili.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento fondamentale per chi opera nel diritto penale. L’accordo di patteggiamento, una volta ratificato dal giudice, assume una stabilità quasi assoluta per quanto riguarda la quantificazione della pena. L’imputato che accetta di patteggiare rinuncia a contestare la congruità della sanzione concordata. L’impugnazione rimane un rimedio eccezionale, esperibile solo per vizi strutturali dell’accordo o per palesi illegalità sanzionatorie, ma non come strumento per ottenere una ‘revisione’ al ribasso di una pena che, sebbene aspra, rientra pur sempre nella cornice edittale prevista dalla legge.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento se si ritiene la pena troppo alta?
No, se la contestazione riguarda unicamente la congruità o l’eccessività della pena concordata. Il ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento è ammesso solo per specifici motivi previsti dalla legge, tra i quali non rientra la valutazione discrezionale sulla misura della sanzione.

Cosa si intende per ‘illegalità della pena’ ai fini del ricorso contro un patteggiamento?
Per ‘illegalità della pena’ si intende l’applicazione di una sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico per quel reato, oppure una pena che supera i limiti massimi (o è inferiore ai minimi) stabiliti dalla norma, sia per tipologia che per quantità. Non riguarda la valutazione sulla sua proporzionalità o congruità.

Quali sono i motivi per cui si può fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, i motivi sono limitati a: vizi nella manifestazione della volontà dell’imputato, mancanza di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice, erronea qualificazione giuridica del fatto, e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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