Ricorso Patteggiamento: Quando la Cassazione lo Dichiara Inammissibile
Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate nel panorama della procedura penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti stringenti imposti dalla legge per impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La decisione sottolinea come, a seguito della riforma del 2017, le possibilità di contestare un patteggiamento in sede di legittimità si siano notevolmente ridotte, con conseguenze significative per l’imputato.
Il Caso in Analisi: Dal Patteggiamento al Ricorso
La vicenda processuale ha origine dalla richiesta di un imputato di definire il proprio procedimento attraverso il rito del patteggiamento, come previsto dagli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale. Il Giudice per le Indagini Preliminari accoglieva la richiesta, emettendo la relativa sentenza.
Successivamente, l’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione avverso tale sentenza. La motivazione addotta era una presunta violazione di legge: a suo dire, il giudice di merito avrebbe dovuto pronunciare una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., in quanto sussistevano le condizioni per un’assoluzione immediata. L’imputato chiedeva, pertanto, l’annullamento della sentenza di patteggiamento.
La Decisione della Corte e il ricorso patteggiamento
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso palesemente inammissibile. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa della normativa vigente, in particolare dell’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 103 del 2017.
La Corte ha stabilito che i motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento sono tassativamente indicati dalla legge e che la doglianza del ricorrente non rientrava tra questi. Di conseguenza, oltre a dichiarare l’inammissibilità, ha condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una cospicua somma alla cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della pronuncia risiede nell’interpretazione della riforma del 2017. La Corte Suprema ha chiarito che, a partire dal 3 agosto 2017, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza”.
La Corte ha specificato che non rientrano più tra i motivi di ricorso ammissibili le questioni relative all’affermazione di responsabilità, alla valutazione della prova o, come nel caso di specie, alla mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. La scelta del legislatore è stata quella di limitare drasticamente le impugnazioni per dare maggiore stabilità alle sentenze concordate tra le parti.
Essendo il ricorso palesemente inammissibile, e non ravvisando alcuna assenza di colpa da parte del ricorrente nella sua proposizione, la Corte ha applicato l’art. 616 c.p.p., che prevede la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico. Per gli avvocati e i loro assistiti, le implicazioni sono chiare: la scelta di accedere al patteggiamento deve essere attentamente ponderata, poiché le possibilità di rimetterla in discussione in Cassazione sono estremamente circoscritte. Il ricorso è diventato uno strumento eccezionale, esperibile solo per vizi specifici e formali. Non è più possibile utilizzare l’impugnazione per contestare nel merito la decisione del giudice di non prosciogliere l’imputato. La stabilità della sentenza di patteggiamento è, quindi, notevolmente rafforzata, a meno che non si verifichino gravi illegalità o vizi nella formazione della volontà dell’imputato.
Dopo la riforma del 2017, è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. non rientra più tra i motivi ammissibili per impugnare una sentenza di patteggiamento.
Quali sono gli unici motivi per cui oggi si può presentare un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è consentito solo per quattro specifiche ragioni: problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato, mancanza di corrispondenza tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza, errata qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se si presenta un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende, come avvenuto nel caso esaminato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23194 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23194 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MARSALA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/01/2024 del GIP TRIBUNALE di MARSALA
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE– RAGIONE_SOCIALE
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale gli è stata applicata la pena richiesta ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen. deducendo violazione di legge in relazione alla mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso è palesemente inammissibile per cause che possono dichiararsi senza formalità ai sensi dell’art. 610 comma 5bis cod. proc. pen. introdotto dall’art. 1, comma 62, della legge 23.6.2017 n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.
Ed invero, a far tempo da tale ultima data, successivi alla quale sono sia la richiesta di patteggiamento che la relativa impugnativa (cfr. art. 1, co. 51, della I. 23.6.2017 n. 103) il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza”.
Non rientrano più, pertanto, tra i motivi di ricorribiktà per cassazione quelli come avvenuto nel caso che ci occupa- attinente all’affermazione di responsabilità, alla valutazione della prova e/o alla mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024