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Ricorso patteggiamento: i limiti dell’impugnazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20931/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso patteggiamento presentato da un imputato. Il motivo del ricorso, relativo alla mancata esclusione della recidiva, non rientrava tra i casi tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Guida ai Motivi di Impugnazione Ammessi

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riaffermato i rigidi paletti che limitano la possibilità di impugnare una sentenza emessa a seguito di patteggiamento. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere quando e come è possibile presentare un ricorso patteggiamento, evidenziando le conseguenze di un’impugnazione basata su motivi non consentiti dalla legge. Analizziamo insieme la vicenda per fare chiarezza su un tema tecnico ma di grande rilevanza pratica.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una sentenza di patteggiamento pronunciata dal Tribunale di Crotone nei confronti di un imputato. Successivamente alla definizione del procedimento con questo rito speciale, l’imputato, per mezzo del proprio difensore, decideva di presentare ricorso per Cassazione. Il motivo specifico alla base dell’impugnazione era la presunta violazione di legge derivante dalla mancata esclusione della recidiva, un’aggravante che era stata invece considerata nell’accordo sulla pena.

La Decisione della Corte e il tema del Ricorso Patteggiamento

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una norma specifica e di fondamentale importanza: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione, introdotta con la riforma del 2017, stabilisce in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono:

1. Motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato espresso liberamente).
2. Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Qualsiasi altro motivo, al di fuori di questo elenco, non può essere utilizzato per contestare la sentenza.

Le Motivazioni della Scelta

La Corte ha osservato che la censura mossa dal ricorrente, relativa alla valutazione della recidiva, non rientra in nessuna delle quattro categorie ammesse dalla legge. La questione della recidiva, infatti, è un elemento che fa parte dell’accordo complessivo sulla pena raggiunto tra l’imputato e il Pubblico Ministero e ratificato dal giudice. Non si tratta di un’illegalità della pena né di un vizio della volontà o di un errore nella qualificazione giuridica del reato.

Il legislatore, con la riforma del 2017, ha voluto limitare drasticamente le impugnazioni contro le sentenze di patteggiamento per ragioni di efficienza processuale e per dare stabilità agli accordi raggiunti. Consentire un ricorso per motivi diversi da quelli, gravissimi, elencati nell’art. 448, comma 2-bis, snaturerebbe la funzione stessa del patteggiamento, che è quella di definire rapidamente il processo sulla base di un accordo tra le parti. Pertanto, una volta che l’accordo sulla pena è stato raggiunto, includendo valutazioni come la recidiva, non è più possibile rimetterlo in discussione se non per i vizi eccezionali previsti dalla norma.

Conclusioni: Le Conseguenze dell’Inammissibilità

La dichiarazione di inammissibilità del ricorso non è priva di conseguenze per il ricorrente. In base a quanto previsto dal codice di procedura penale, la Corte ha condannato l’imputato a due pagamenti:

1. Il pagamento delle spese processuali relative al giudizio di Cassazione.
2. Il versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria viene irrogata quando non emergono elementi che possano giustificare l’errore del ricorrente, ovvero quando la causa di inammissibilità è evidente, come in questo caso.

Questa pronuncia serve da monito: prima di intraprendere la strada di un ricorso contro una sentenza di patteggiamento, è cruciale che l’imputato e il suo difensore verifichino con estrema attenzione che i motivi di doglianza rientrino nel perimetro, molto ristretto, tracciato dal legislatore. In caso contrario, il rischio è non solo di vedere la propria istanza respinta, ma anche di subire ulteriori conseguenze economiche.

È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è possibile solo per un numero limitato e tassativo di motivi, elencati nell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come vizi della volontà, illegalità della pena o errata qualificazione giuridica del fatto.

Per quale motivo il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si basava sulla contestazione della mancata esclusione della recidiva, un motivo che non rientra nell’elenco di quelli consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.

Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile contro un patteggiamento?
La persona che presenta un ricorso inammissibile viene condannata al pagamento delle spese processuali e, in assenza di una giustificazione per l’errore, anche al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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