Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso Impugnare la Sentenza?
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro sistema processuale penale che consente di definire il processo rapidamente. Tuttavia, una volta raggiunta la sentenza, le vie per impugnarla sono molto strette. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i limiti del ricorso patteggiamento, dichiarando inammissibile un appello basato sulla mancata concessione di una circostanza attenuante.
I Fatti del Caso
Nel caso in esame, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bologna aveva emesso una sentenza di patteggiamento, applicando all’imputato una pena di quattro anni di reclusione, già ridotta di un terzo per la scelta del rito. L’imputato, tramite il suo difensore, ha deciso di presentare ricorso per cassazione. L’unico motivo di doglianza era la mancata applicazione di una specifica circostanza attenuante prevista dall’articolo 62, n. 6 del codice penale.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha immediatamente rigettato il ricorso, definendolo inammissibile. La decisione si fonda su una norma precisa: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione limita tassativamente i motivi per cui l’imputato e il pubblico ministero possono presentare un ricorso patteggiamento.
I motivi ammessi sono esclusivamente:
1. Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
La Corte ha sottolineato che la mancata applicazione di una circostanza attenuante non rientra in nessuna di queste categorie. Pertanto, la legge esclude testualmente la possibilità di contestare questo aspetto della sentenza di patteggiamento.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte è puramente giuridica e si basa sull’interpretazione letterale della norma. L’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. è stato introdotto per dare stabilità alle sentenze di patteggiamento, evitando che l’accordo tra le parti possa essere messo in discussione per motivi non essenziali. La scelta di limitare l’impugnazione a vizi gravi e specifici mira a garantire la finalità deflattiva del rito: se ogni aspetto della pena potesse essere ridiscusso, il patteggiamento perderebbe la sua efficacia.
La Suprema Corte ha quindi affermato che sollevare una questione sulla mancata concessione di un’attenuante equivale a proporre un ricorso basato su un “motivo non consentito”. Di conseguenza, il ricorso non può essere nemmeno esaminato nel merito. Oltre a dichiarare l’inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, non ravvisando elementi che potessero giustificare l’errore nel proporre l’impugnazione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre un importante monito per la difesa. La decisione di accedere al patteggiamento deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché le possibilità di revisione successiva sono minime. Tutti gli elementi, comprese le circostanze attenuanti, devono essere valutati e negoziati prima della formalizzazione dell’accordo con il pubblico ministero. Una volta emessa la sentenza, non sarà più possibile lamentare la mancata applicazione di attenuanti.
In conclusione, la pronuncia rafforza il principio della stabilità e definitività della sentenza di patteggiamento, confermando che il legislatore ha voluto blindare questo istituto da ricorsi che ne minerebbero la funzione di economia processuale.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No. La legge limita espressamente i motivi di ricorso a quattro categorie specifiche: vizi della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La mancata applicazione di una circostanza attenuante è un motivo valido per il ricorso patteggiamento?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che questo motivo non rientra tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Un ricorso basato su tale motivazione è, pertanto, inammissibile.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di elementi che escludano la colpa, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13406 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13406 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 23/03/1981
avverso la sentenza del 28/10/2024 del GIP RAGIONE_SOCIALE di BOLOGNA
p ato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
letto il ricorso; rilevato che:
con sentenza del 28 ottobre 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna ha applicato, ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen., nei confronti di NOME COGNOME la pena, ridotta di un terzo per la scelta del rito, d quattro anni di reclusione in relazione ai reati meglio descritti in imputazione;
l’imputato ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen.;
ritenuto che:
il ricorso verte su motivo non consentito, giacché, a norma dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e de misura di sicurezza»;
è dunque testualmente esclusa la possibilità di far valere vizi che attengano alla mancata applicazione di una circostanza attenuante;
considerato che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 20/02/2025