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Ricorso patteggiamento: i limiti dell’impugnazione

Un imputato, dopo aver concordato la pena per tentata rapina aggravata, ha presentato ricorso sostenendo che il giudice non avesse motivato l’assenza di cause di proscioglimento. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso patteggiamento inammissibile, ribadendo che i motivi di impugnazione sono tassativamente previsti dalla legge e tra questi non rientra la doglianza sollevata. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: La Cassazione e i Motivi di Appello Tassativi

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un rito che offre vantaggi in termini di celerità processuale e riduzione della pena, ma comporta anche significative limitazioni, specialmente per quanto riguarda il diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la rigidità dei presupposti per presentare un ricorso patteggiamento, dichiarando inammissibile un appello basato su motivi non previsti dalla legge.

I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso

Il caso ha origine da una sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona, che aveva applicato a un imputato la pena concordata con il pubblico ministero per il reato di tentata rapina aggravata. Successivamente, l’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione. La doglianza principale era la presunta assenza di motivazione nella sentenza di primo grado riguardo alla non sussistenza delle condizioni per un proscioglimento immediato, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.

La Decisione sul Ricorso Patteggiamento: Inammissibilità e Condanna alle Spese

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La conseguenza di tale decisione non è stata solo la conferma della sentenza di patteggiamento, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria è prevista quando l’inammissibilità del ricorso è dovuta a colpa del ricorrente, come nel caso di un’impugnazione proposta per motivi non consentiti dalla legge.

Le Motivazioni: I Limiti dell’Art. 448 cod. proc. pen.

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla cosiddetta Riforma Orlando (legge n. 103/2017). Questa norma elenca in modo tassativo i soli motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. Essi sono:

1. Vizi della volontà: Problemi legati all’espressione del consenso da parte dell’imputato.
2. Difetto di correlazione: Mancata corrispondenza tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica: Errore del giudice nel qualificare il fatto come un determinato reato anziché un altro.
4. Illegalità della pena: Applicazione di una sanzione non conforme alla legge o di una misura di sicurezza al di fuori dei casi previsti.

La Corte ha sottolineato che la lamentela del ricorrente, relativa alla mancanza di motivazione sull’art. 129 c.p.p., non rientra in nessuna di queste categorie. Inoltre, i giudici hanno richiamato un principio consolidato, valido anche prima della riforma del 2017: nel patteggiamento, la motivazione sull’assenza di cause di proscioglimento può essere meramente enunciativa o addirittura implicita. Un controllo di legittimità è ammesso solo se dal testo stesso della sentenza emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza rafforza un punto fondamentale: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica che implica una rinuncia a far valere determinate difese in cambio di uno sconto di pena. L’impugnazione successiva è un’eventualità eccezionale e non uno strumento per rimettere in discussione l’intero impianto accusatorio. La pronuncia serve da monito per gli operatori del diritto: prima di presentare un ricorso patteggiamento, è essenziale verificare che i motivi rientrino nel perimetro ristretto delineato dall’art. 448 c.p.p., per evitare una declaratoria di inammissibilità e le relative conseguenze economiche per il proprio assistito. La stabilità delle sentenze di patteggiamento è un obiettivo del legislatore per garantire l’efficienza del sistema giudiziario, e la Cassazione si dimostra ancora una volta ferma nel tutelare questa finalità.

È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No. Il ricorso è possibile solo per motivi specifici e tassativamente indicati dalla legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.), come un errore sulla volontà dell’imputato, un errore di qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.

Posso fare ricorso se il giudice del patteggiamento non ha motivato in modo approfondito l’assenza di cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.)?
No, questo specifico motivo non è tra quelli consentiti per impugnare una sentenza di patteggiamento. La giurisprudenza ritiene che la motivazione su questo punto possa essere anche solo implicita o meramente enunciativa.

Cosa succede se il mio ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisa una colpa, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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