Ricorso Patteggiamento: I Limiti Imposti dalla Cassazione
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro sistema processuale penale, che permette di definire il processo in modo più rapido. Tuttavia, la possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva è soggetta a limiti molto stringenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 12092 del 2024, ribadisce con chiarezza quali sono i confini invalicabili per un ricorso patteggiamento, confermando l’orientamento restrittivo introdotto dalla riforma del 2017.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Rimini. L’imputato aveva concordato con il Pubblico Ministero l’applicazione di una determinata pena, ma successivamente ha deciso di impugnare tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso si basava sulla presunta violazione di legge e sul vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della punibilità ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale.
Il Ricorso Patteggiamento e i Motivi Tassativi
Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla Legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta “Riforma Orlando”), ha drasticamente ridotto i motivi per cui è possibile presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento. La legge stabilisce un elenco tassativo e non ampliabile di ragioni valide, che includono:
* L’espressione della volontà dell’imputato viziata (ad esempio, per errore o violenza).
* Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
* L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in una di queste categorie è, per definizione, inammissibile.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte Suprema, con la sua ordinanza, ha dichiarato il ricorso inammissibile ‘de plano’, ovvero senza la necessità di un’udienza pubblica, data la manifesta infondatezza. I giudici hanno sottolineato che i motivi addotti dal ricorrente – la violazione di legge e il vizio di motivazione sull’applicabilità dell’art. 129 c.p.p. – non sono inclusi nell’elenco previsto dall’art. 448, comma 2-bis.
La Cassazione ha affermato che la riforma del 2017 ha volutamente escluso la possibilità di contestare in sede di legittimità aspetti come la valutazione delle prove o l’argomentazione sulla non punibilità, che si considerano implicitamente superati dall’accordo tra le parti. L’accettazione del patteggiamento comporta, infatti, una sorta di rinuncia a contestare tali profili, in cambio di uno sconto di pena.
Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità
La declaratoria di inammissibilità ha comportato due conseguenze negative per il ricorrente. In primo luogo, in applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, è stato condannato al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, è stato condannato a versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Questa sanzione pecuniaria non è automatica, ma viene applicata quando, come in questo caso, la presentazione del ricorso è ritenuta frutto di colpa. La Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi per escludere la colpa, dato che i limiti all’impugnazione del patteggiamento sono ormai consolidati nella giurisprudenza. L’ordinanza rappresenta quindi un monito importante: il ricorso patteggiamento è uno strumento da utilizzare con estrema cautela e solo quando si è certi di rientrare nei pochi casi consentiti dalla legge, per non incorrere in sanzioni economiche e nella definitiva conferma della sentenza.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce che il ricorso è ammesso solo per motivi specifici, come l’errata espressione della volontà dell’imputato, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso tremila euro, in favore della Cassa delle ammende, qualora ravvisi profili di colpa nella presentazione del ricorso.
Perché la violazione dell’art. 129 c.p.p. non è stata considerata un motivo valido per il ricorso?
Perché, secondo l’ordinanza, la violazione di legge e il vizio di motivazione sull’esclusione della punibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p. non rientrano più tra i motivi tassativamente previsti dalla legge per poter impugnare una sentenza di patteggiamento dopo la riforma del 2017.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12092 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12092 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME (CUI 06LE1VH) nato a TIRANA( ALBANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 del TRIBUNALE di RIMINI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la sentenza impugnata.
Rilevato che l’unico motivo deve essere dichiarato inammissibile perché proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen;
Considerato, infatti, che in base al nuovo testo di tale norma, introdotto dalla legge n. 103 del 2017, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra l richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza;
Rilevato che il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per l’omessa argomentazione circa l’esclusione della punibilità ai sensi dell’art.129 cod. proc. pen., anch’essi non più compresi tra i casi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso le sentenze di applicazione della pena (v., tra le tante: Sez. 4, 5 giugno 2018, n.38235);
Rilevato che il ricorso di NOME deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, de plano, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. e che il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.