Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile? La Cassazione Chiarisce
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale penale che permette di definire il processo in modo più rapido. Tuttavia, una volta raggiunta la sentenza, le possibilità di contestarla sono molto limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione illumina i confini del ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi sono ammessi e quali portano a una declaratoria di inammissibilità con conseguenze economiche per il ricorrente.
Il Caso in Esame: Un Appello Respinto
Nel caso specifico, un imputato aveva concordato una pena tramite patteggiamento, poi applicata dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Torino. La pena della reclusione era stata sostituita con quella della detenzione domiciliare per una durata di tre anni e quattro mesi.
Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza. Il motivo principale era un presunto “vizio di motivazione”: a suo dire, il giudice non aveva spiegato adeguatamente le ragioni per cui non aveva pronunciato una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale, specialmente in relazione ad alcuni capi di imputazione.
I Motivi del Ricorso Patteggiamento e la Normativa
La difesa dell’imputato si è basata sulla presunta violazione dell’obbligo del giudice di verificare, anche in caso di patteggiamento, l’assenza di cause di non punibilità prima di applicare la pena concordata. Tuttavia, la normativa introdotta con la Legge n. 103/2017 (nota come Riforma Orlando) ha drasticamente ristretto le possibilità di impugnazione delle sentenze di patteggiamento.
L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso. Questi sono:
* Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso non libero).
* Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Il motivo sollevato dal ricorrente, ovvero la mancata motivazione sul proscioglimento, non rientra in questo elenco.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso patteggiamento inammissibile in modo netto e con una procedura semplificata, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p.
I giudici hanno sottolineato che, a seguito della riforma del 2017, i motivi di ricorso sono un numero chiuso e non possono essere estesi in via interpretativa. La doglianza del ricorrente, relativa alla mancata valutazione di un possibile proscioglimento, esula completamente dalle categorie ammesse dalla legge. La Corte ha inoltre definito il motivo di ricorso come “del tutto generico”, un ulteriore fattore che ne ha determinato l’inammissibilità.
La decisione si basa sul principio che l’accordo tra accusa e difesa, una volta ratificato dal giudice, acquisisce una stabilità che può essere messa in discussione solo per vizi gravi e specificamente individuati dal legislatore. La scelta di patteggiare implica una rinuncia a contestare nel merito l’accusa, salvo i casi eccezionali previsti.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: chi sceglie la via del patteggiamento deve essere consapevole che le possibilità di impugnare la sentenza sono estremamente ridotte. Il ricorso patteggiamento non può essere utilizzato come un tentativo di rimettere in discussione l’opportunità della scelta processuale fatta.
L’ordinanza ha anche delle conseguenze economiche dirette per il ricorrente. La dichiarazione di inammissibilità, infatti, comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, fissata in questo caso a 4.000 euro. La Corte ha giustificato l’importo sulla base della “evidente inammissibilità” dei motivi, che non permette di considerare l’imputato esente da colpa nell’aver promosso un’impugnazione palesemente infondata. Questa decisione serve da monito: un ricorso temerario contro una sentenza di patteggiamento non solo è destinato al fallimento, ma comporta anche costi significativi.
È possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento perché il giudice non ha motivato sulla mancata assoluzione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che questo motivo non rientra tra quelli, tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., per cui è ammesso il ricorso contro una sentenza di patteggiamento.
Quali sono i motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., il ricorso è ammesso solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, 4000 euro) a favore della cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p., specialmente quando l’inammissibilità è considerata evidente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7413 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 5 Num. 7413 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MONCALIERI il 29/03/1996
avverso la sentenza del 11/09/2024 del GIP TRIBUNALE di TORINO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
udito il difensore
FATTO E DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino applicava a Cena Valentino, ai sensi degli artt. 444 e ss., c.p.p., la pena ritenuta di giustizia, sostituendo la pena della reclusione con quella della detenzione domiciliare sostitutiva di anni tre e mesi quattro, in relazione ai reati in rubrica ascrittigli.
Avverso la suddetta sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando vizio di motivazione, con riferimento alla mancata indicazione delle ragioni che hanno impedito l’applicazione in favore del ricorrente di una pronuncia di proscioglimento ex art. 129, c.p.p., con particolare riferimento ai reati contestatigli nei capi 3, 6, 7 e 8 dell’imputazione.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi del disposto dell’art. 610, co. 5 bis, c.p.p., inserito nel corpo del codice di rito dall’art. 1, co. 62, della legge 23 giugno 2017, n. 103, con effetto dal 3 agosto del 2017. Ed invero, il secondo periodo di tale disposizione normativa prevede GLYPH l’obbligo GLYPH di GLYPH dichiarare, GLYPH con GLYPH procedura GLYPH semplificata, l’inammissibilità dei ricorsi aventi ad oggetto, tra l’altro, le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, quando, in conformità alla previsione dell’art. 448, co. 2 bis, c.p.p., modificato dall’art. 1, co. 50, della citata legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso non sia fondato su motivi (ovviamente specifici), attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza, tra i quali non rientra il vizio denunciato, peraltro in maniera del tutto generica, dal ricorrente.
Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 4000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa
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nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Rojpa, il 15.11.2024.