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Ricorso patteggiamento: i limiti all’impugnazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24222/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imputati contro una sentenza di patteggiamento per tentato furto. La Corte ha ribadito che, a seguito della riforma del 2017, il ricorso patteggiamento è consentito solo per motivi tassativamente previsti, tra i quali non rientra la presunta violazione dell’art. 129 c.p.p. lamentata dai ricorrenti. Di conseguenza, gli imputati sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Chiarisce i Limiti di Impugnazione

Con l’ordinanza n. 24222 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui limiti del ricorso patteggiamento, un tema di cruciale importanza nella procedura penale. La decisione sottolinea la rigidità dei motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, specialmente dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 103 del 2017. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Processo

La vicenda trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Verona nei confronti di due soggetti, accusati di tentato furto aggravato. Gli imputati, dopo aver concordato la pena con il Pubblico Ministero e ottenuto la ratifica del giudice, decidevano di presentare ricorso per cassazione avverso tale sentenza.

Il motivo del gravame si fondava sulla presunta violazione di legge, in particolare sulla mancata applicazione da parte del giudice di merito dell’articolo 129 del codice di procedura penale. Tale norma impone al giudice di pronunciare una sentenza di proscioglimento in ogni stato e grado del processo, qualora ricorrano determinate cause di non punibilità.

La Questione Giuridica: I Limiti al Ricorso Patteggiamento

Il punto centrale della questione non riguarda il merito dell’accusa, ma un aspetto puramente procedurale. La normativa che disciplina il ricorso patteggiamento è stata significativamente modificata dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (nota come Riforma Orlando). A partire dal 3 agosto 2017, le sentenze di patteggiamento possono essere impugnate con ricorso per cassazione solo per un numero chiuso e specifico di motivi.

Questi motivi attengono esclusivamente a:

1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Mancanza di correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa.
3. Errata qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Qualsiasi altro motivo di doglianza, per quanto potenzialmente fondato, non può essere fatto valere attraverso l’impugnazione della sentenza di patteggiamento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, investita della questione, ha dichiarato i ricorsi inammissibili senza necessità di formalità, applicando l’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale. I giudici hanno osservato che sia la richiesta di patteggiamento sia la successiva impugnazione erano avvenute dopo l’entrata in vigore della riforma.

La Corte ha rilevato con chiarezza che il vizio lamentato dai ricorrenti – la presunta mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. – non rientra in nessuno dei quattro motivi tassativamente previsti dalla legge per poter impugnare una sentenza di patteggiamento. Di conseguenza, il ricorso era ab origine inammissibile. La scelta di contestare la sentenza su un presupposto non contemplato dalla norma ha reso l’impugnazione un atto processualmente invalido.

In virtù di questa declaratoria di inammissibilità, la Corte ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, inoltre, al versamento di una somma di quattromila euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende, determinata in via equitativa.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chi sceglie la via del patteggiamento: si tratta di una scelta processuale che comporta una sostanziale rinuncia a far valere determinate contestazioni. La finalità deflattiva dell’istituto viene garantita proprio limitando drasticamente le possibilità di impugnazione successiva. L’imputato e il suo difensore devono quindi ponderare attentamente la decisione di patteggiare, consapevoli che, una volta emessa la sentenza, le vie per rimetterla in discussione sono estremamente circoscritte. Tentare un ricorso patteggiamento per motivi non previsti dalla legge si traduce non solo in un insuccesso processuale, ma anche in un’ulteriore condanna economica per il ricorrente.

È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No. L’ordinanza chiarisce che dopo la riforma del 2017, il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è ammesso solo per quattro motivi specifici: problemi nella manifestazione di volontà dell’imputato, discordanza tra richiesta e sentenza, errata qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Per quale motivo il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo addotto dai ricorrenti (la mancata declaratoria di cause di non punibilità secondo l’art. 129 c.p.p.) non rientra nell’elenco tassativo dei motivi per cui la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento.

Quali sono state le conseguenze per i ricorrenti che hanno presentato un ricorso inammissibile?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di quattromila euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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