Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19233 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19233 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AVEZZANO il 15/04/1989
avverso la sentenza del 17/01/2025 del GIP TRIBUNALE di AVEZZANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale gli è stata applicata la pena richiesta ai sens degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen. deducendo, con un unico motivo, violazione di legge processuale, sub specie di difetto di correlazione tra la richiesta di applicazione della pena e la sentenza, nella parte in cui include una ultronea pronuncia di colpevolezza dell’imputato qualificando la condotta processuale dallo stesso adottata come indicativa di una “piena accettazione della responsabilità dei fatti”.
Richiama, a sostegno della sua tesi, i precedenti di Sez. 4 n. 10457/1997, Rv. 209410 e Sez. 5, n. 3409/1994, Rv. 197580.
Chiede, pertanto, annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata o, in subordine, correggersi la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen.
In data 24 aprile 2025 è stata depositata memoria a firma dell’avv. NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente, con cui si insiste nella richiesta correzione dell’errore mediante la procedura di rettificazione ex art. 619 cod. proc. pen. ovvero nell’accoglimento del ricorso.
Il ricorso è palesemente inammissibile per cause che possono dichiararsi senza formalità ai sensi dell’art. 610 comma 5 bis cod. proc. pen. introdotto dall’art. 1, comma 62, della legge 23.6.2017 n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017. Ed invero, a far tempo da tale ultima data, successivi alla quale sono sia la richiesta di patteggiamento che la relativa impugnativa (cfr. art. 1, co. 51, della I 23.6.2017 n. 103) il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giu ridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza” (art. 4 comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n.103/17).
Orbene, è agevole rilevare che al di là della mera enunciazione di un motivo di ricorso, formalmente consentito, nella specie, nessuna effettiva violazione del principio di correlazione tra richiesta e sentenza è riscontrabile nella doglianza articolata dalla difesa.
Il motivo di ricorso è all’evidenza frutto di una parcellizzazione dell’apparato motivazionale della sentenza impugnata, atteso che l’espressione censurata, contenuta nell’inciso “la condotta processuale da lui adottata con piena
accettazione della responsabilità dei fatti” – posta dal giudice del patteggiamento a giustificazione del riconoscimento delle attenuanti generiche-, non integra ex se una dichiarazione di colpevolezza incompatibile con il giudizio di cui all’art. 444 cod. proc. pen.
Peraltro, diversamente da quanto opina il ricorrente, in sentenza non c’è alcuna chiara affermazione di penale responsabilità, laddove la “responsabilità dei fatti” cui si fa riferimento, in senso favorevole per l’imputato laddove è stata valorizzata ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti ex art. 62-bis cod. pen., ben può essere quella civile che ha portato al “risarcimento del danno attuato spontaneamente dall’imputato”, del quale si dà atto, qualche rigo prima, in motivazione.
Inconferente, appare il richiamo alla risalente giurisprudenza invocata a suo favore dal ricorrente. Ed invero, in primis le sentenze Sez. 4 n. 10457/1997, Rv. 209410 e Sez. 5, n. 3409/1994, Rv. 197580 riguardavano una fase precedente alla novella dell’art. 448 cod. proc. pen., che ha ristretto l’ambito di ricorrib per cassazione delle sentenze di patteggiamento.
Quello dedotto è un vizio afferente alla motivazione della sentenza di patteggiamento, in quanto tale oggi non più proponibile nei termini posti.
Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: “La richiesta di eliminazione di impropri riferimenti alla responsabilità o alla colpevolezza dell’imputato contenuti nella motivazione di una sentenza di patteggiamento non è sussumibile in alcuno dei vizi per i quali è possibile il ricorso per cassazione dopo la novell dell’art. art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., operata con la legge n.103/17”.
Peraltro, le risalenti sentenze richiamate in ricorso riguardavano due situazioni in cui chiaramente, nella propria pronuncia, diversamente dal caso che ci occupa, il giudice del patteggiamento parlava di “condanna” e “responsabilità penale”.
Nemmeno, peraltro, si può accedere alla richiesta di correzione di errore materiale ex art. 619 cod. proc. pen. perché proprio quella giurisprudenza degli anni Novanta invocata dal ricorrente riteneva che la sentenza pronunciata sulla base di un patteggiamento – che pacificamente non può contenere dichiarazione di colpevolezza né indicazione di condanna- aveva affermato il principio per cui l’eliminazione di tali riferimenti, non trattandosi di errori di diritto o di denom zione o di computo della pena né di errore materiale, dovesse avvenire in sede di legittimità non già mediante la richiesta rettificazione ex art. 619 cod. proc. pen., bensì con la pronuncia di annullamento senza rinvio limitatamente alla declaratoria medesima, sostituita con le formule proprie della sentenza applicativa della pena su richiesta delle parti, restando ferma per il resto la sentenza (cfr. Sez. 4, n
10457 del 30/10/1997, Rv. 209410-01; conf. Sez. 1 n. 731 del 22/02/1993, Rv. 193360 – 01, relative a fattispecie in cui la sentenza emessa all’esito di patteggiamento contenga un’espressa pronuncia di condanna, che consegue di norma all’affermazione di penale responsabilità, in luogo della prescritta dizione di applicazione di pena concordata). Rimedio che, come si diceva, non appare più esperibile dopo la novella dell’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen.
Per completezza, giova, infine, richiamare il consolidato seppur risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel caso di sentenza che applica la pena su richiesta delle parti, la stessa richiesta implica una forma di ammissione di responsabilità da parte dell’imputato, che implicitamente e volontariamente rinuncia ad avvalersi della presunzione di non colpevolezza, salva la possibilità per il giudice di emettere pronuncia assolutoria ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. ove ne ricorrano i presupposti (Sez. 1, n. 5517 del 03/11/1995, Rv. 203026). Facendo richiesta di applicazione della pena, infatti, l’imputato non contesta l’accusa ed esonera l’accusa stessa dall’onere probatorio, con la conseguenza che la sentenza che accoglie detta richiesta contiene un accertamento ed un’affermazione impliciti della responsabilità dell’imputato, e pertanto l’accertamento della responsabilità non va espressamente motivato, così come l’affermazione di responsabilità non va espressamente dichiarata (Sez. 3, n. 2468 del 26/06/1995; Sez. Un., n. 5777 del 27/03/1992, Rv. 191134).
Infatti, come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Sez. U., n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202270; Sez. 4, n. 5964 del 16/12/2002, dep. 2003, Rv. 223517), l’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’ plicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 cod. proc. pen.).
In ogni caso, la giurisprudenza più recente ha affermato che, in tema di patteggiamento, la motivazione della sentenza in relazione alla mancanza dei presupposti per l’applicazione dell’art 129 cod. proc. pen, può anche essere meramente enunciativa, poiché la richiesta di applicazione della pena deve essere considerata come ammissione del fatto ed il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento solo qualora dagli atti risultino elementi tali da imporre di superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega proprio alla formulazione della
N.
6103/2025 R.G.
richiesta di applicazione della pena (Sez. 2, n. 41785 del 06/10/2015, COGNOME Rv.
264595 – 01).
5. A norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del
13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del proce- dimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura in-
dicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle am-
mende.
Così deciso in Roma il 13/05/2025
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