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Ricorso messa alla prova: i limiti del PM in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un Procuratore contro un’ordinanza di messa alla prova. Il motivo del ricorso, basato sulla presunta vaghezza e genericità del programma di trattamento per tre imputati, è stato ritenuto una censura di merito non consentita in sede di legittimità. La sentenza chiarisce che il ricorso messa alla prova da parte del PM è limitato a specifiche violazioni di legge e non può estendersi a una valutazione sul contenuto del programma.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Messa alla Prova: la Cassazione Fissa i Paletti per l’Impugnazione del PM

La recente sentenza n. 31198/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso messa alla prova da parte del Pubblico Ministero. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha stabilito che la critica alla genericità o vaghezza del programma di trattamento non costituisce un motivo valido per impugnare l’ordinanza che dispone la sospensione del processo, trattandosi di una censura sul merito non consentita in sede di legittimità.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Ivrea, che aveva disposto la sospensione del processo con messa alla prova per tre imputati. Il Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione delle norme processuali, in particolare dell’art. 464-quater c.p.p.

Secondo il PM, i programmi di trattamento elaborati per i tre imputati erano eccessivamente vaghi e indefiniti. Nello specifico, si contestava che:

1. Per un imputato, il programma prevedeva lo svolgimento di lavori di pubblica utilità con compiti da definirsi genericamente come “Prestazioni inerenti a competenze e professionalità del soggetto”.
2. Per la seconda imputata, i compiti erano descritti come “Manutenzione immobili e servizi pubblici”, senza ulteriori specificazioni.
3. Per il terzo imputato, incaricato di svolgere attività di “tutela ambientale” presso una ONLUS, non erano stati indicati i compiti concreti da svolgere.

Il Procuratore sosteneva inoltre che prescrizioni come “mantenere l’attività lavorativa” o “essere reperibile per l’UEPE” fossero meri pre-requisiti della misura e non potessero costituire parte integrante del programma trattamentale.

La Decisione della Cassazione sul ricorso messa alla prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le doglianze sollevate, pur essendo formalmente presentate come violazioni di norme processuali, rappresentassero in realtà una critica al contenuto e alla sostanza del programma di messa alla prova. Questo tipo di valutazione rientra nell’ambito del giudizio di merito, che è di competenza del giudice che ha emesso l’ordinanza e non può essere oggetto di un sindacato in sede di legittimità.

Le Motivazioni

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione dell’art. 464-quater, comma 7, del codice di procedura penale. Questa norma elenca specificamente i casi in cui è possibile ricorrere per cassazione contro l’ordinanza di messa alla prova. La Corte ha osservato che le censure del PM non rientravano in tali ipotesi.

Lamentare la vaghezza del programma significa, in sostanza, contestare la valutazione discrezionale del giudice di merito sull’adeguatezza del percorso rieducativo. La Cassazione non può sostituire il proprio giudizio a quello del tribunale che, sulla base degli atti e delle relazioni dell’UEPE, ha ritenuto quel programma idoneo. Il ricorso del PM è stato quindi qualificato come “generico”, poiché non indicava una violazione di legge riconducibile ai motivi tassativamente previsti per l’impugnazione, ma si limitava a prospettare un diverso apprezzamento dei fatti.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: il ricorso messa alla prova in Cassazione non è uno strumento per ridiscutere l’opportunità o l’adeguatezza del programma di trattamento. Il controllo della Suprema Corte è limitato alla legittimità del provvedimento, ossia alla verifica del rispetto delle norme procedurali (come la durata massima della sospensione o il diritto della persona offesa di essere sentita) e non si estende al merito della decisione. Di conseguenza, il Pubblico Ministero che intenda contestare la messa alla prova deve fondare il proprio ricorso su specifiche violazioni di legge, e non su una generica critica alla congruità del percorso risocializzante individuato dal giudice.

Può il Pubblico Ministero impugnare in Cassazione un’ordinanza di messa alla prova perché ritiene il programma di trattamento vago o indefinito?
No. Secondo questa sentenza, tale motivo di ricorso attiene al merito della decisione e non a una violazione di legge per cui è consentita l’impugnazione in Cassazione. La valutazione sull’adeguatezza del programma è una prerogativa del giudice di merito.

Quali sono i motivi per cui il Pubblico Ministero può presentare ricorso per cassazione contro un’ordinanza di messa alla prova?
Il ricorso è consentito solo per le violazioni di legge specificamente contemplate, come quelle indicate nell’art. 464-quater, comma 7, c.p.p. Ad esempio, si può ricorrere se la sospensione del processo supera la durata massima prevista dalla legge o per vizi procedurali come l’omesso avviso o l’omessa audizione della persona offesa.

Cosa significa che un motivo di ricorso è “generico” e perché porta all’inammissibilità?
Significa che il ricorso non articola una critica precisa su una specifica violazione di una norma di legge procedurale, ma si limita a contestare la valutazione e l’apprezzamento del giudice di merito. Poiché la Corte di Cassazione giudica solo sulla corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità) e non sui fatti (giudizio di merito), un motivo generico è inammissibile perché chiede alla Corte di svolgere un compito che non le spetta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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