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Ricorso inammissibile: quando un atto non è abnorme

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile avverso un’ordinanza di sospensione dell’esecuzione, non ritenendola un atto abnorme. La decisione del Tribunale di Sorveglianza rientra nei suoi poteri e non ha causato stasi processuale, confermando il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione chiarisce i limiti dell’atto abnorme

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: non tutti i provvedimenti giudiziari sono contestabili. Il caso in esame ha portato a dichiarare un ricorso inammissibile, fornendo un’importante lezione sui concetti di tassatività delle impugnazioni e di abnormità dell’atto processuale. Analizziamo insieme la vicenda e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che, nel marzo 2024, aveva concesso a un soggetto il beneficio della sospensione condizionale della pena. Successivamente, su richiesta del Procuratore Generale, lo stesso Tribunale, con un’ordinanza dell’8 maggio 2024, sospendeva l’esecuzione di tale beneficio.

Contro questa seconda ordinanza, l’interessato proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che il provvedimento fosse nullo per “abnormità funzionale”. A suo dire, la sospensione era stata decisa per mere ragioni di opportunità, nonostante la misura fosse già in corso di esecuzione senza che fossero state commesse violazioni. In sostanza, il ricorrente lamentava un’azione del Tribunale che riteneva ingiustificata e al di fuori delle corrette dinamiche processuali.

L’Ordinanza della Cassazione e il ricorso inammissibile

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una rigorosa applicazione dei principi che governano le impugnazioni nel processo penale.

La Corte ha ricordato che, in base all’art. 568 del codice di procedura penale, vige il principio di tassatività: un provvedimento può essere impugnato solo se la legge lo prevede espressamente. In assenza di una norma specifica, l’unica via per contestare un atto non altrimenti impugnabile è dimostrare la sua “abnormità”, una categoria creata dalla giurisprudenza per porre rimedio a situazioni processuali anomale e senza via d’uscita.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella definizione e nei limiti del concetto di atto abnorme. La giurisprudenza distingue due tipi di abnormità:
1. Abnormità strutturale: quando l’atto, per la sua singolarità, si pone completamente al di fuori del sistema organico della legge processuale.
2. Abnormità funzionale: quando l’atto, pur non essendo estraneo al sistema, determina una stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo, o una sua indebita regressione.

Nel caso specifico, la Suprema Corte ha stabilito che l’ordinanza di sospensione emessa dal Tribunale di Sorveglianza non rientra in nessuna di queste due categorie. La decisione impugnata, infatti, non presenta “anomalie genetiche o funzionali radicali” tali da farla uscire dallo schema normativo. Al contrario, rientra nell’ambito dei poteri riconosciuti al giudice quello di sospendere l’esecuzione di un proprio provvedimento precedente.

Fondamentalmente, la Corte ha chiarito che il provvedimento non era “eccentrico” rispetto a quelli disciplinati dalla legge e, soprattutto, non ha determinato alcuna stasi processuale irrimediabile. Pertanto, non essendo un atto abnorme e mancando una previsione normativa che ne consentisse l’impugnazione, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce che il concetto di abnormità deve essere interpretato in modo restrittivo e non può essere utilizzato come uno strumento per contestare nel merito decisioni sgradite ma legittimamente assunte dal giudice. Un atto non diventa abnorme solo perché si ritiene che sia stato emesso per ragioni di opportunità. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come conseguenza, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma a favore della cassa delle ammende, a causa della colpa ravvisata nella proposizione di un’impugnazione priva di fondamento legale.

Quando un provvedimento giudiziario può essere considerato ‘abnorme’?
Un atto è abnorme quando, per la sua singolarità e stranezza, risulta completamente avulso dall’ordinamento processuale, oppure quando, pur costituendo manifestazione di un potere legittimo, si esplica al di fuori dei casi consentiti causando una stasi del processo non altrimenti rimediabile.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato proposto contro un’ordinanza non impugnabile per legge. Inoltre, la Corte ha stabilito che tale ordinanza non costituiva un atto abnorme, in quanto rientrava nei poteri del giudice e non ha causato alcuna paralisi del procedimento.

Un’ordinanza che sospende l’esecuzione di un precedente provvedimento è un atto abnorme?
No, secondo questa decisione, l’ordinanza di sospensione dell’esecuzione di un provvedimento non è un atto abnorme. Si tratta di una decisione che rientra nell’ambito dei poteri riconosciuti al giudice e non presenta anomalie tali da fuoriuscire dallo schema normativo processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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