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Ricorso inammissibile: quando si rinuncia ai motivi

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile poiché l’imputato, dopo aver stipulato un accordo per la riduzione della pena in appello (c.d. concordato), aveva presentato ricorso basandosi su motivi a cui aveva espressamente rinunciato. La decisione conferma che tale rinuncia preclude un successivo esame nel merito, comportando la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Le Conseguenze della Rinuncia ai Motivi nel Concordato in Appello

L’esito di un processo penale può essere definito attraverso vari istituti procedurali, tra cui il concordato in appello. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce le severe conseguenze di un ricorso inammissibile presentato dopo aver accettato tale accordo. Comprendere questo meccanismo è fondamentale, poiché la rinuncia a specifici motivi di impugnazione in una fase del giudizio preclude la possibilità di riproporli successivamente, con importanti implicazioni economiche e processuali per l’imputato.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza di condanna a due anni di reclusione emessa dal Tribunale di Milano. In sede di appello, l’imputato e la procura generale raggiungevano un accordo ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale, noto come “concordato in appello”.

In virtù di tale accordo, la Corte d’Appello di Milano riformava la precedente sentenza, riducendo la pena a un anno e quattro mesi di reclusione. L’accordo, per sua natura, implicava la rinuncia da parte dell’imputato ai motivi di appello precedentemente formulati.

Il Ricorso in Cassazione e il vizio di motivazione

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello. Il ricorso si basava su un unico motivo: il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge, con specifico riferimento alla mancata disamina da parte della Corte d’Appello di eventuali cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p. (la cosiddetta “immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità”).

In sostanza, il ricorrente lamentava che i giudici di secondo grado non avessero valutato la possibilità di assolverlo, nonostante l’accordo sulla pena.

La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato categoricamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio procedurale tanto semplice quanto ferreo: non si può contestare in una sede superiore un punto al quale si è espressamente rinunciato in una fase precedente.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha spiegato che l’argomento dedotto nel ricorso – la mancata valutazione delle cause di proscioglimento – era stato oggetto di espressa rinuncia in sede di accordo sull’applicazione della pena in appello. L’istituto del concordato ex art. 599-bis c.p.p. si basa proprio su uno scambio sinallagmatico: l’imputato ottiene una riduzione della pena e, in cambio, rinuncia a far valere i propri motivi di gravame.

Di conseguenza, la Corte d’Appello non aveva alcun obbligo di motivare in merito a questioni che erano state volontariamente escluse dal dibattito processuale per volontà dello stesso imputato. La pretesa di far valere in Cassazione un motivo a cui si era rinunciato rende il ricorso privo dei requisiti minimi per essere esaminato nel merito.

La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non essendo emersi elementi che potessero far ritenere l’impugnazione immune da colpa.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale penale: le scelte strategiche compiute durante il processo hanno conseguenze definitive. Il concordato in appello può essere uno strumento vantaggioso per l’imputato, ma comporta la rinuncia consapevole e definitiva ai motivi di impugnazione oggetto dell’accordo. Presentare un successivo ricorso basato proprio su tali motivi si traduce inevitabilmente in una declaratoria di ricorso inammissibile, con l’ulteriore aggravio delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione serve da monito sull’importanza di ponderare attentamente ogni scelta difensiva, comprendendone appieno tutte le implicazioni future.

Perché il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’imputato aveva basato la sua impugnazione su un motivo al quale aveva espressamente rinunciato in sede di “concordato in appello”, un accordo che prevede la riduzione della pena in cambio della rinuncia ai motivi di gravame.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in € 3.000,00.

La Corte d’Appello era tenuta a motivare sulle cause di proscioglimento nonostante il concordato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, avendo l’imputato rinunciato ai motivi di appello con l’accordo, la Corte d’Appello non era tenuta a fornire alcuna motivazione sui punti oggetto della rinuncia, inclusa la potenziale esistenza di cause di proscioglimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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