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Ricorso inammissibile: quando riproporre un’istanza

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile poiché l’istante ha riproposto una richiesta di continuazione tra reati già respinta, senza addurre nuovi elementi di fatto o di diritto. La Corte ha sottolineato che la semplice omissione della menzione di una memoria difensiva nel provvedimento impugnato non è sufficiente per l’accoglimento del ricorso, se non si indicano i ‘nova’ trascurati. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione Sulla Riproposizione di Istanze Già Respinte

Nel panorama della procedura penale, la fase esecutiva rappresenta un momento cruciale in cui si definiscono gli aspetti concreti della pena. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto fondamentale di questa fase: le condizioni per presentare un’istanza e le conseguenze di un ricorso inammissibile. Il caso analizzato offre spunti importanti sulla necessità di presentare elementi di novità per evitare che una richiesta, già respinta in precedenza, venga nuovamente dichiarata inammissibile con conseguente condanna alle spese e a una sanzione.

Il Contesto: Una Richiesta di Continuazione tra Reati

La vicenda trae origine da un’istanza presentata da un condannato al giudice dell’esecuzione. La richiesta mirava a ottenere il riconoscimento della cosiddetta “continuazione” tra diversi reati per i quali era stato giudicato separatamente. L’obiettivo era unificare le pene in un’unica sanzione più mite, come previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale. Tuttavia, il Giudice dell’esecuzione aveva già rigettato una precedente istanza con le medesime finalità.

Nonostante il rigetto, l’interessato ha riproposto la richiesta, integrata da una memoria difensiva. La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha nuovamente respinto l’istanza, dichiarandola inammissibile ai sensi dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale, poiché la considerava una mera riproposizione della precedente, priva di nuovi elementi.

L’Ordinanza Impugnata e i Motivi del Ricorso

Contro questa seconda decisione, il condannato ha presentato ricorso per cassazione. L’unico motivo di doglianza si basava su un vizio procedurale: il ricorrente lamentava che il giudice d’appello avesse omesso di menzionare nella sua ordinanza la memoria difensiva depositata. Secondo la difesa, questa omissione avrebbe viziato la decisione, impedendo una corretta valutazione di tutti gli elementi a disposizione.

Il punto centrale del ricorso non era tanto il merito della richiesta di continuazione, quanto la presunta violazione del diritto di difesa derivante dalla mancata considerazione di un atto processuale. La difesa, tuttavia, non ha specificato quali elementi di novità (i cosiddetti nova) contenuti in quella memoria sarebbero stati ingiustamente trascurati dal giudice a quo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. La motivazione dei giudici di legittimità è chiara e si fonda su un principio consolidato: non è sufficiente presentare una nuova istanza per superare una precedente declaratoria di inammissibilità. È indispensabile che la nuova richiesta sia supportata da elementi nuovi, in fatto o in diritto, che non siano stati oggetto della precedente valutazione.

La Corte ha specificato che il provvedimento impugnato era stato correttamente reso ai sensi dell’art. 666, comma 2, c.p.p., che sanziona con l’inammissibilità la riproposizione di un’istanza già respinta se non fondata su elementi nuovi. Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione aveva motivato la sua decisione proprio sull’assenza di tali nova. La difesa, nel suo ricorso, si è limitata a lamentare un’omissione formale (la mancata menzione della memoria difensiva) senza però confrontarsi con la vera ragione della decisione, ovvero la natura meramente ripetitiva dell’istanza. Non indicando quali specifici nuovi argomenti la memoria contenesse, il ricorso si è rivelato sterile e privo di fondamento.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La decisione della Cassazione ribadisce un principio fondamentale per chi opera nel diritto: un ricorso inammissibile non solo non produce l’effetto sperato, ma può comportare conseguenze negative. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende non è una mera formalità, ma la sanzione per aver attivato un’impugnazione in maniera “irrituale” e colposa, come sottolineato dalla Corte. Questa pronuncia serve da monito: ogni atto processuale, specialmente in fase di impugnazione, deve essere supportato da argomentazioni solide e, nel caso di riproposizione di istanze, da elementi di novità concreti e dimostrabili. La semplice reiterazione di richieste già vagliate e respinte, senza un effettivo arricchimento probatorio o giuridico, costituisce un abuso del processo che l’ordinamento sanziona.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché costituiva una mera riproposizione di un’istanza già respinta in un precedente incidente di esecuzione, senza addurre alcun nuovo elemento di fatto o di diritto.

È sufficiente lamentare la mancata menzione di una memoria difensiva per vincere un ricorso?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte, il ricorrente deve anche specificare quali nuovi elementi (i cosiddetti nova) contenuti in quella memoria sono stati illegittimamente ignorati dal giudice, dimostrando che la loro valutazione avrebbe potuto portare a una decisione diversa.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile per colpa?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per profili di colpa connessi alla sua irritualità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata determinata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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